Il boss dell’inchino della Madonna girava armato: arrestato con la pistola nella giacca

Agostino Sangermano, ritenuto il boss dell'omonimo clan di camorra dell'agro aversano, girava con la pistola. "Accavallato", come si dice nel gergo della malavita. Segno della grande disponibilità di armi della sua cosca ma, forse, anche del timore di finire vittima di un agguato: quando i carabinieri sono arrivati alla sua abitazione, nel cuore della notte, l'arma era ancora infilata nella tasca della giacca.
Il blitz è scattato oggi, condotto dai carabinieri di Castello di Cisterna e da personale della Direzione Investigativa Antimafia, in esecuzione di una ordinanza da 25 misure cautelari (tutte con destinazione carcere) per presunti capi e gregari del clan, con base a San Paolo Belsito (Napoli) e attivo nelle zone di Nola, nell'agro aversano e in parte dell'Avellinese; eseguito contestualmente un sequestro di beni per un valore di circa 30 milioni di euro. Nel corso dell'operazione sono stati sequestrati contanti per circa 90mila euro, nelle disponibilità di tre degli indagati, e sequestrate due pistole, nelle disponibilità di due persone, tra le quali il boss.
L'inchino della Madonna davanti all'abitazione del boss
Agostino Sangermano è protagonista di uno dei casi ricostruiti dai carabinieri durante le indagini, andate avanti dal 2016 al 2019 e partite proprio in seguito a quell'episodio. È il giugno 2016 e a Livardi, frazione di San Paolo Belsito, la statua della Madonna del Rosario viene portata in processione lungo le strade del paese.
Arrivati davanti ad un'abitazione, i portantini si fermano e si piegano: eccolo, l'inchino, segno di rispetto che con quel gesto viene conferito al proprietario di casa direttamente dall'effigie della Madonna. In risposta il parroco, don Fernando Russo, e il maresciallo dei carabinieri, Antonio Squillante, abbandonano la processione in segno di protesta: in quella villa abita Agostino Sangermano, sottoposto agli arresti domiciliari. Il parroco motiverà il suo gesto successivamente, in una intervista ad Avvenire, spiegando che era arrivato il momento di dire basta alla prepotenza della criminalità organizzata; decisione lodata pubblicamente anche dal vescovo di Nola dell'epoca, Beniamino Depalma.