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Fabbrocini, capo della Squadra Mobile: “I ragazzi di Napoli possono essere recuperati. Uno mi disse: ‘Però non siete così infame…'”

A Fanpage.it Alfredo Fabbrocini, capo della Squadra Mobile della Questura di Napoli, traccia il bilancio dei quasi quattro anni a Napoli e racconta come è cambiata la criminalità.
A cura di Nico Falco
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Alfredo Fabbrocini, napoletano, 52 anni, è il capo della Squadra Mobile della Questura di Napoli. Incarico che volge al termine: dal 1 gennaio è stato promosso dirigente superiore, proseguirà la sua carriera come capo della Questura di Barletta Andria Trani. In città era arrivato nel 2020, dopo aver ricoperto lo stesso ruolo a Foggia, Bari e Parma. Diversi i risultati investigativi raccolti in questi tre anni: dall'arresto del narcos Raffaele Imperiale a quelli dei giovani accusati degli omicidi di Francesco Pio Maimone e Giovan Battista Cutolo, uccisi da innocenti, fino ai fermi per l'agguato al corso Lucci, quando una donna è rimasta ferita da una pallottola vagante. Aspetto importante, secondo Fabbrocini, quello del recupero dei ragazzi, tramite il coinvolgimento in attività che possano distoglierli da quella devianza che spesso, come sottolinea, è "omologazione al messaggio paterno": uno di loro, alla fine di un progetto, commentò: "Dotto', però non siete così infame…".

Anche a Napoli c'è una recrudescenza di crimini commessi da minori, ma in città il fenomeno delle baby gang si incrocia con quello dei giovanissimi camorristi.

Bisogna distinguere quelle che vengono definite baby gang dai giovani camorristi. I guerriglieri di camorra, che operano come se fossero in una foresta, senza una pianificazione, una struttura alle spalle, che però compiono degli atti scellerati. Attività difficilmente prevedibili ma allo stesso tempo molto più facili da scoprire e da arrestare. La prova è in quello che è successo negli ultimi tempi, dall'ultima sparatoria alle Case Nuove all'omicidio di ragazzi innocenti: siamo riusciti a risolvere quei casi in poco tempo. C'è anche del merito nei miei investigatori, certo, ma è anche vero che chi ha compiuto questi atti non aveva quella caratteristica e cultura criminale che gli avrebbe permesso di essere più attento.

Ci sono poi  giovanissimi che cercano di scalare le gerarchie criminali e vanno a creare quel vuoto che noi abbiamo creato con le operazioni di polizia e con la magistratura. Seguono quella fascinazione del male, che inevitabilmente va a fare proseliti tra i giovani napoletani, soprattutto quando crescono in ambienti vicini alla camorra. Non è solo devianza giovanile, è figlia di una devianza più antica. Mi rattrista l'atteggiamento dei genitori, quando vengono a fare l'ultimo saluto prima che i figli vadano in carcere: non ci sono critiche, è come se stessero accettando una sorta di rischia di impresa. In questi contesti non si può parlare di devianza, è semplicemente omologazione al messaggio paterno.

Lei spesso ha parlato della necessità di intervenire in certi contesti non solo con la repressione, ma anche puntando al recupero.

Possiamo in qualche modo invertire la rotta. Abbiamo creato, in Questura, uno spazio dedicato alle vittime di violenza di genere. Ci sono opere e strutture ideate dall'artista Lello Esposito ma realizzate dai ragazzi dell'istituto minorile di Nisida. Far sì che quei ragazzi, detenuti probabilmente perché avevano compiuto anche violenze di genere, si dedicassero a costruire qualcosa di bello per chi poteva esserne vittima. É un cercare di recuperare la parte ancora salvabile della società. Alla fine di questo lungo lavoro mi sono trovato a parlare con uno di loro e mi ha detto: "Dotto', però non siete così infame". Anche quello, per un investigatore come me, è una grande soddisfazione.

Nell'agosto 2021 è stato arrestato Raffaele Imperiale, estradato in Italia nel marzo 2022. Cosa ha rappresentato "Lello Ferrarelle" per il narcotraffico?

Imperiale è stato sicuramente una figura apicale in un contesto di traffico internazionale. Probabilmente sarà difficile avere un altro come lui a Napoli nei prossimi anni. Aveva creato un network che poteva competere con le famiglie calabresi e superare quelle siciliani. Aveva una credibilità e una autorevolezza criminale forse unica. Il suo metodo ha però fatto proseliti: oggi molto più frequentemente le associazioni criminali napoletane si rivolgono a dei broker per rifornirsi di droga.

Pochi giorni fa, al corso Lucci, durante un agguato a un 18enne, ha colpito l'enorme mole di fuoco: sono stati sparati decine di proiettili in strada, uno ha raggiunto una passante.

L'episodio del corso Lucci è particolare. Per quella vicenda sono state arrestate cinque persone per detenzione di arma e altre due per tentato omicidio. Lì si è consumato quello che è un brand tutto napoletano: una stesa. Stavolta di proporzioni enormi. È un segno di controllo del territorio ma vigliacco: rischio poco, non devo affrontare un nemico, lo faccio all'improvviso e poi scappo via. Creo però un grande allarme sociale e rischio, come è successo, di ferire una persona innocente. È la manifestazione camorristica dei vigliacchi.

Come è cambiata la criminalità in questi ultimi anni?

È diventata più imprenditoriale, con capacità di reinvestire il denaro e farlo tornare in maniera pulita nei circuiti legali. È cambiata anche come dinamiche di quartiere, ma in positivo per noi: la camorra non ha più quel consenso sociale che tante volte ci ha reso difficile il lavoro, adesso siamo noi contro loro. La zona grigia che tifava per loro è andata a scomparire e la nostra azione investigativa si è rimodulata di conseguenza: indagini più veloci, più rapide, che non permettono ai giovani criminali di diventare vecchi. Questo è un punto di svolta per la lotta alla camorra. Ce lo dicono le intercettazioni  di alcuni criminali del Vomero: se va avanti questo messaggio, il sistema criminale fallisce.

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