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Chi era Montescuro ‘o Menuzz, boss invisibile di Sant’Erasmo che mediava tra i capi di camorra

Per almeno 30 anni Carmine Montescuro, il boss deceduto due notti fa, era stato una eminenza grigia della camorra: Sant’Erasmo era la sua “piccola Svizzera”.
A cura di Nico Falco
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Carmine Montescuro e Ciro Mazzarella
Carmine Montescuro e Ciro Mazzarella

Piccolo pezzo, frammento. Minuzzolo, in italiano. Anche se è più probabile che derivi dallo spagnolo, che quel "menuzo", sbarcato a Napoli al tempo dei Borbone, si sia infilato tra i vicoli del porto e sia stato da questi assorbito, che sia stato storpiato, napoletanizzato passando di bocca in bocca, fino a diventare "‘o Menuzz", il soprannome di Carmine Montescuro, il boss deceduto due notti fa. Magari, chissà, glielo avevano affibbiato da bambino e gli è rimasto cucito fino alla morte, nella sua casa di Sant'Erasmo, dove era agli arresti domiciliari, condannato a scontare una pena di 15 anni (non definitiva) per camorra. Quel soprannome nel tempo si è arricchito, l'autorevolezza acquisita in determinati ambienti lo ha trasformato in "Zio Menuzzo", ma a dispetto dell'etimologia Montescuro era tutt'altro che piccolo, tutt'altro che un frammento.

Morto il boss zi' Menuzzo, paciere tra i clan di camorra

Carmine Montescuro era nato il 5 luglio 1934. In una cosa "menuzzo" lo era stato davvero: sfuggevole, quasi minuscolo, tanto da evitare le maglie della magistratura in decenni di camorra: la prima grande indagine che ha finalmente delineato il suo clan, e che ha fatto scattare le manette, è arrivata soltanto nel 2019, quando aveva 85 anni. Piccolo di statura, il cuore malandato, gli occhi stretti e piccoli dietro due occhiali troppo spessi e le orecchie che ormai facevano fatica ad afferrare qualche suono. Eppure, per lui era stato disposto il carcere.

La motivazione è in centinaia di pagine di ordinanza che lo vedono protagonista assoluto, insieme a quella che era diventata la "piccola Svizzera" della camorra: per almeno 30 anni figura chiave della camorra napoletana, aveva trasformato Sant'Erasmo in una zona cuscinetto tra il centro di Napoli e San Giovanni a Teduccio, arrivando a gestire tutto l'illecito che ruota intorno al porto di Napoli e diventare un punto di riferimento anche per i boss più potenti, che a lui si rivolgevano non solo per la spartizione delle estorsioni ma anche per risolvere le controversie.

Come un vecchio saggio, un paciere in grado di sedare faide sul nascere, con un unico obiettivo: preservare la pace, quando questa significa continuare ad ammassare denaro, proliferare senza scontri inutili, senza sparare. Perché i morti attirano "le guardie", e con le forze dell'ordine tra i piedi gli affari si fermano. Indicato dai collaboratori di giustizia vicino al clan Mazzarella (e in particolare a Ciro Mazzarella), zi' Menuzz, secondo i pentiti, è stato una sorta di eminenza grigia della camorra.

Per l'ex boss Maurizio Prestieri anche Paolo Di Lauro, quando era il capoclan incontrastato di Secondigliano e guidava un impero della droga da milioni di euro al mese, si mostrava profondamente rispettoso nei confronti di questo anonimo vecchietto che non aveva mai voluto abbandonare la sua Sant'Erasmo. Una figura che probabilmente ha ispirato quella dello "Stregone" della serie tv Gomorra, a cui gli altri boss si rivolgevano per risolvere le dispute. E che, dal cinema alla realtà, è stato capace di mettere d'accordo i Misso, i Sarno, i Mariano, i Contini, i Mazzarella.

Il personaggio de "O' Stregone" in Gomorra (foto grande) e Carmine Montescuro (foto piccola)
Il personaggio de "O' Stregone" in Gomorra (foto grande) e Carmine Montescuro (foto piccola)

A 87 anni "pericoloso e rischioso": "Gli butto una latta di benzina"

Aveva un debole per il gioco d'azzardo, Carmine Montescuro. E forse solo per quel motivo si staccava volentieri dalla sua "piccola Svizzera", per qualche sortita a Montecarlo dove scommettere ai casinò. Altrimenti, restava ben saldo nel suo regno. Da dove, ritengono gli inquirenti, dirigeva tutti i suoi traffici. Un potere costruito grazie a un “saldissima rete di contatti, anche al di là dei contesti più strettamente camorristici”, scriveva il gip. Riferendosi, probabilmente, a quella di cui aveva parlato anche il collaboratore di giustizia Maurizio Overa: "da una parte divide le quote delle estorsioni pagate dagli imprenditori ai clan, dall’altra gestisce il sistema delle mazzette destinate ai pubblici ufficiali".

Se era necessario, zi' Menuzzo era pronto a occuparsi in prima persona di chi non voleva pagare: perché se la prima regola era di non sparare, la seconda era che tutti, chi più e chi meno, dovevano pagare il pizzo. Un personaggio "pericoloso" e "rischioso", così lo definiva il gip, che voleva essere "mandante e partecipe in prima persona di azioni pesantemente intimidatorie".

Come quando si era trattato di mandare un messaggio a un imprenditore impegnati nei lavori di via Marina. "Gli butto una latta di benzina, lo incendio" aveva detto a Nino Argano, quello che viene considerato il suo braccio destro. "‘O zi', ma dobbiamo andare carcerati? – aveva risposto l'uomo – Perché dovete andare voi a buttare la latta?". Ma Montescuro era rimasto irremovibile: "Non mi vede nessuno, non ti preoccupare. Me la vedo io".

La tregua tra i Mazzarella e l'Alleanza di Secondigliano

Zi Menuzz avrebbe fermato anche la faida tra l'Alleanza di Secondigliano e il cartello dei Mazzarella del 1998. Una serie di agguati nel giro di poche ore, tra cui quello di Francesco Mazzarella, il capoclan, 75 anni, ammazzato il 16 febbraio, appena mise i piedi fuori dal carcere di Poggioreale, davanti ai militari dell'Esercito che presidiavano il penitenziario. Ci fu un incontro tra i due clan e i boss Mazzarella avrebbero mandato Montescuro.

"Paolo Di Lauro cercava una mediazione per risolvere quel conflitto che, come sempre accade, comunque finiva per danneggiare economicamente un po' tutti – racconta Maurizio Prestieri – questo zi' Menuzz veniva in rappresentanza dei Mazzarella ed, in particolare, di Mazzarella Ciro detto ‘o Scellone. Ebbi modo di comprendere che, al di là delle apparenze, quella persona anziana aveva un forte carisma criminale tanto che lo stesso Di Lauro Paolo si mostrava molto rispettoso nei suoi confronti. D'altra parte zi' Menuzz aveva evidentemente il potere di rappresentare in una situazione così delicata i Mazzarella a cui avevano ucciso il padre. Quell'incontro, che si tenne nella casa ove si appoggiava Di Lauro nel Terzo Mondo, mise, effettivamente, le basi per la tregua cui si arrivò".

Funerali vietati per Carmine Montescuro

Zi Menuzzo aveva lasciato il carcere poche settimane dopo l'arresto del 2019, per motivi di salute, per farvi ritorno nel novembre del 2021 per violazione dei domiciliari. A casa era tornato di nuovo nel febbraio 2022: detenuto tra i più anziani d'Italia (se non il più anziano), e ormai cieco, sordo, inchiodato su una sedia a rotelle, aveva ottenuto di poter scontare a casa il resto della pena, 15 anni incassati nel 2021, fine pena nel 2036. A Sant'Erasmo era tornato qualche giorno fa, ormai in fin di vita, dopo un periodo passato in ospedale. Il Questore di Napoli, come sempre avviene in circostanze del genere, ha vietato i funerali pubblici.

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