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Avellino, omicidio del boss Orazio De Paola: Di Matola condannato a 18 anni

Gianluca Di Matola è stato condannato a 18 anni di reclusione per l’omicidio di Orazio De Paola, ritenuto boss del clan Pagnozzi, ucciso a San Martino Valle Caudina (Avellino).
A cura di Nico Falco
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La vittima, Orazio De Paola
La vittima, Orazio De Paola

È stato condannato a 18 anni di reclusione Gianluca Di Matola, reo confesso per l'omicidio del 58enne Orazio De Paola, ritenuto dagli inquirenti reggente del clan camorristico Pagnozzi. La sentenza è stata pronunciata oggi dalla Corte di Assise di Avellino; i giudici non hanno riconosciuto l'attenuante della provocazione ma la pena inflitta è stata inferiore alle richieste del pm Giuliano Caputo, che aveva invocato per l'imputato 24 anni di reclusione.

L'agguato risale all'8 settembre 2020. De Paola fu ucciso a colpi di pistola a San Martino Valle Caudina, in provincia di Avellino, in una strada isolata nei pressi dell'abitazione di Di Matola: quattro proiettili al torace e il quinto, letale, alla testa. Il 30enne scappò subito, ma fu catturato dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino in autostrada, mentre andava verso Roma, e fu sottoposto a fermo di indiziato di delitto. Le modalità dell'omicidio, e la figura della vittima, avevano inizialmente portato a ritenere che si fosse trattato di un agguato maturato in ambienti di camorra, ma dopo il fermo fu accertato che il movente riguardava la sfera privata dei due e non era attribuibile a questioni connesse alla criminalità organizzata, motivo per cui la direzione delle indagini fu assunta dalla Procura della Repubblica di Avellino.

Secondo le ricostruzioni De Paola era andato davanti all'abitazione di Di Matola per chiarire una questione di natura personale. Durante il processo l'avvocato Alessio Ruocco, difensore del trentenne, aveva puntato sull'assoluzione per il possesso dell'arma e, per l'omicidio, sulla legittima difesa e sull'attenuante della provocazione, sostenendo che Di Paola avesse minacciato con una pistola anche il figlio e la moglie di Di Matola; era stato anche fatto riferimento a motivi passionali, per una presunta donna contesa tra la vittima e il fratello dell'assassino.

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