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“Vogliamo uscire dall’università senza temere per la nostra vita”, studenti scrivono a Prefetto e Sindaco di Milano

Un gruppo di studenti dell’università Politecnico di Milano scrive alle istituzioni per chiedere una risposta immediata alle continue aggressioni che sarebbero costrettia subire alla stazione di Villapizzone, la più vicina al Campus della Bovisa.
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Immagine di repertorio
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Sono 164 gli studenti del Politecnico di Milano che hanno deciso di scrivere direttamente al Prefetto e al Sindaco per chiedere una soluzione alle continue aggressioni che, secondo quanto denunciano, avverrebbero quotidianamente nel pressi del Campus La Masa, alla Bovisa. Più precisamente le rapine sarebbero avvenute soprattutto alla stazione ferroviaria di Villapizzone, che molti universitari sono costretti a frequentare per raggiungere l'ateneo.

Le aggressioni al campus del Politecnico

L'aggressione che li ha convinti a scrivere questa lettera sarebbe avvenuta sabato 29 aprile ai danni di Michele Frigerio, uno studente di 25 anni costretto dal prezzo degli affitti a Milano, per cui una studentessa della stessa università ha dato da giorni vita a una protesta davanti all'ateneo, a fare ogni giorno da pendolare con Lecco.

Secondo quanto racconta Federico Terenziani, suo amico e primo firmatario della lettera, Michele "non vuole fare tardi per paura del buoi", quando le aggressioni sono agevolate. Così si avvia a prendere il treno alla stazione di Villapizzone e, nonostante la precauzione adottata, viene minacciato e derubato.

"Gli hanno imposto di consegnare il denaro e i suoi averi e l’hanno bloccato per decine di minuti mentre aggredivano altri due passanti", si legge nella lettera. E, infatti, secondo quanto ricostruito tre ragazzini di "16 o 17 anni con il passamontagna" e uno di "circa 30" l0 avrebbero minacciato con un martelletto frangivetro.

Lo studente ha tentato di spiegare che il computer gli era già stato rubato qualche settimana prima e che quindi aveva ben poco da dargli. Ma loro, invece di liberarlo, lo avrebbero trattenuto costringendolo ad assistere alle altre rapine, a danno di due suoi compagni.

"Ero sconfortato, ma non è possibile che a 150 metri dal campus ci sia questo degrado. È pericoloso muoversi dopo una certa ora anche se è l’università stessa ad avere spazi aperti fino a mezzanotte", riporta il Corriere della sera.

Ma questa non è l'ultima aggressione citata nella lettera: "nella sola giornata del 3 maggio scorso si sono verificate almeno due aggressioni prima delle 20, quindi durante le ore diurne. Una è stata confermata da un carabiniere sopraggiunto a seguito della chiamata di una passante".

"Informato della frequenza quotidiana di questi avvenimenti e suggerito della necessità di trovare una soluzione, – continua la lettera – il carabiniere ha risposto che le forze dell’ordine sono a conoscenza delle aggressioni, ma che non possono, di loro iniziativa, far stazionare una pattuglia nella zona. Cito a memoria (ma quasi testualmente): ‘Noi non possiamo farci niente, queste cose le decide il Prefetto'".

La lettera a Sindaco e Prefetto

Ed è così che a Federico Terenziani viene in mente di scrivere una lettera direttamente alle istituzioni e con lui la firmano altri 163 studenti del Politecnico: "Si discute da anni, tra studenti, della pessima fama della stazione e del quartiere di Villapizzone, con il consiglio di evitare il più possibile la zona".

Ma – denunciano – "nelle ultime settimane la situazione è diventata insostenibile, con l’intensificarsi di aggressioni armate e rapine quotidiane, in un’area che non dista più di 200 metri dalla più vicina aula del Politecnico".

"Alcuni spazi del Politecnico chiudono alle 24. Come tutti i miei compagni, vorrei poter lasciare questi spazi a qualunque ora, senza temere per la mia vita", scrivono nero su bianco prima di specificare che i toni non sono inutilmente enfatici.

"Il termine ‘rapina' e l’espressione ‘temere per la propria vita' – chiariscono – non sono usati in modo improprio: le aggressioni avvengono effettivamente con l’ausilio di manganelli o coltelli puntati alla gola. Una soluzione è indispensabile, e i tempi devono poter essere misurati in giorni o ore, non in mesi o settimane".

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