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Perché è stato bloccato il risarcimento per Stefano Binda, assolto per l’omicidio di Lidia Macchi

La Procura Generale ha impugnato la decisione dei giudici che hanno riconosciuto a Stefano Binda, assolto dall’accusa dell’omicidio di Lidia Macchi, un risarcimento di oltre trecentomila euro.
A cura di Ilaria Quattrone
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È stata impugnata l'ordinanza della corte d'Appello di Milano che aveva riconosciuto un indennizzo per ingiusta detenzione a Stefano Binda, assolto dall'accusa di aver ucciso Lidia Macchi. A impugnarla, stando a quanto riportato dal quotidiano "Il Corriere della Sera", è stata la Procura Generale di Milano.

La Corte aveva riconosciuto un risarcimento di oltre trecentomila euro: Binda era stato in carcere dal 15 gennaio 2016 e il 24 luglio 2019. L'uomo è stato l'unico indagato per l'omicidio della giovane Lidia che nel 1987 venne trovata cadavere a Cittiglio, comune in provincia di Varese.

Il ricorso della Procura generale

Gli inquirenti lo accusarono di averle inferto 29 coltellate, accuse che Binda ha sempre respinto dichiarandosi innocente. Binda era stato condannato all'ergastolo in primo grado dalla Corte d'Assise di Varese, ma poi assolto in Appello e in Cassazione.

Nel ricorso, la Procura si concentra soprattutto sulla facoltà di non rispondere di cui si è avvalso Binda. I giudici, decidendo sull'indennizzo, dovevano valutare se Binda con il suo comportamento potesse avere viziato o meno la decisione dei giudici che hanno deciso per la carcerazione.

Le parole degli avvocati di Stefano Binda

Per la Procura sarebbe stato stato così nonostante le due sentenze di assoluzione e l'ordinanza della quinta sezione della Corte d'Appello di Milano. Adesso toccherà alla Corte di Cassazione decidere al riguardo: "Nei confronti di Stefano Binda c’è un vero e proprio accanimento terapeutico", afferma l’avvocato Patrizia Esposito che ha assistito l'uomo durante tutto l'iter giudiziario.

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