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Omicidio Desirée Piovanelli, il padre: “È stata una rete di pedofili ancora attiva a 20 anni dal delitto”

Massimo Piovanelli non ha dubbi, la verità sull’omicidio di sua figlia Desirée non è ancora uscita per intero. L’uomo chiede di riaprire le indagini per accertare la presenza di una rete di pedofili.
A cura di Fabio Pellaco
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Desirée Piovanelli
Desirée Piovanelli

Per Maurizio Piovanelli, padre di Desirée, la ragazzina di 14 anni assassinata nel 2002 a Leno, non tutta la verità sarebbe venuta a galla. L'uomo, oggi 61enne, sostiene che l'omicidio della figlia non fu solamente il tragico epilogo di una tentata violenza sessuale.

Assassinata dal branco 20 anni fa

Era il 28 settembre 2002 quando Desirée Piovanelli sparì dalla sua casa di Leno, in provincia di Brescia. Il suo corpo fu ritrovato massacrato di coltellate in una cascina solamente sei giorni dopo. Le indagini portarono alla condanna in via definitiva di Giovanni Erra e di tre coetanei della vittima: il cosiddetto "branco di Leno".

A vent'anni dal brutale assassinio, in un'intervista a Il Resto del Carlino, il padre di Desirée sostiene che a rapire la figlia sarebbe stata una rete di pedofili tuttora attiva nella Bassa Bresciana. Piovanelli si dice estremamente deluso dalla giustizia italiana e continua a lottare per la verità che, secondo lui, non sarebbe ancora uscita fuori completamente.

"Chi sa come sono andate le cose parli"

Il padre è convinto che la responsabilità del delitto non sia da attribuire solo al branco: "Negli anni sono uscite cose talmente strane che mi hanno portato a credere che c'era sotto qualcosa di molto grosso. Ci sono le voci del paese e ci sono le persone con cui ho parlato. Perché non sono state prese in considerazione?"

Tra le prove a sostegno della sua tesi, Piovanelli porta la mancata attribuzione di una traccia di Dna trovata a suo tempo sul giubbotto che Desirée indossava quel giorno: "Perché questo Dna non è stato confrontato con quello di certe persone? È ancora disponibile. La speranza è che qualcuno del paese, qualcuno che sa tante cose, parli. Alcune persone le ho conosciute, altre no. Qualcuno ha parlato, qualcun altro no. Ma non abbiamo avuto nessun risultato. Sinceramente non capisco perché non abbiano fatto delle indagini ulteriori".

L'esposto presentato dal padre aveva portato all'apertura di un fascicolo d'inchiesta che è stato archiviato. Il giudice però avrebbe lasciato aperto uno spiraglio nel caso in cui emergessero nuovi elementi rilevanti per il caso.

Il padre ha incontrato uno dei condannati

Oggi i tre ragazzi hanno scontato la pena e sono liberi, resta in carcere il solo Erra, condannato a 30 anni. Piovanelli racconta di aver avuto un incontro con uno dei ragazzi: "Mi ha avvicinato al parcheggio di un supermercato. Aveva la barba, non l'avevo riconosciuto. Mi ha detto chi era, che gli dispiaceva molto, che non c'entrava e che era stato tirato dentro dagli altri due. Mi ha parlato del giro di pedofilia. A Leno lo sanno tutti. È come essere nella Palermo di 40 anni fa. Palermo è cambiata, Leno no. Da parte nostra si fa il possibile per non odiare nessuno, però non è semplice. Anche perché non mi risulta che si siano mai pentiti".

Infine, per il padre ci sarebbero anche alcune incongruenze sulla ricostruzione dei fatti così come riportati dalle indagini: "Quel sabato Desirée è uscita alle 14:30. Non è vero che è stato un'ora dopo, alle 15.30. Uno dei ragazzi, dalle 15:15 alle 16, ha fatto parecchie telefonate. Quindi Desy era già morta. Una chiamata è stata particolarmente lunga, come se il ragazzo avesse dovuto riferire a qualcuno quello che era successo. Perché non è stato verificato a chi ha telefonato e cosa si sono detti? È importante. Potrebbe saltare fuori il mandante".

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