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Michelly, prostituta trans: “Ho iniziato a 8 anni, vorrei fare altro ma nessuno mi assume”

Prosegue l’inchiesta sulla prostituzione ai tempi del Covid di Fanpage.it. Abbiamo incontrato Michelly Kelton, una prostituta transessuale che opera a Milano, per farci raccontare la sua storia. Di origine brasiliana, Michelly si è sempre sentita intrappolata in un corpo non suo e ha iniziato a prostituirsi da bambina. È arrivata in Italia nel 2007 e, anche in piena pandemia, non ha mai smesso di lavorare. “Un po’ di timore di contrarre il virus c’è stato, è normale, ma non avevo alternative: o mi riempivo di debiti, o continuavo a lavorare”. Della sua professione rivela: “Mi piace, ma non nego che mi piacerebbe fare la parrucchiera o la sarta. Il problema è che in Italia nessuno sembra voler assumere una dipendente transessuale”.
A cura di Valeria Deste
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Michelly Kelton è una prostituta transessuale che opera a Milano. Di origine brasiliana, Michelly è arrivata in Italia nel 2007. L’abbiamo incontrata nell'ambito dell'inchiesta di Fanpage.it sulla prostituzione ai tempi del Covid per farci raccontare la sua storia. Il suo telefono vibra in continuazione. Le arrivano messaggi. Sono i suoi “amici speciali”. Clienti, come ci racconta, con una età compresa tra i 20 e i 60 anni, che si rivolgono a lei per un momento di libido e trasgressione. E che nemmeno il Coronavirus sembra fermare. Ma non è tutto oro quel che luccica perché le persone che fanno questo mestiere stanno vivendo una situazione di precarietà disperata e, in questi mesi, molte di loro non hanno avuto altra soluzione che continuare a lavorare. "I miei clienti sono diminuiti dell’80 per cento: il 20 per cento che continuano a cercarmi sono affezionati. Disposti a tutto pur di non rinunciare alle mie prestazioni a pagamento – racconta Michelly – Un po' di timore di contrarre il virus c’è stato, è normale, ma non avevo alternative: o mi riempivo di debiti, o continuavo a lavorare. Ho deciso di continuare a lavorare, anche se ormai lo si fa per sopravvivere: i guadagni non sono più quelli di un tempo. Il fuoco del sesso a pagamento oggi si è trasferito a Dubai dove il Covid sembra non essere arrivato. Non nego che attendo con ansia il giorno in cui anch’io potrò fare il vaccino anti Covid”.

Servigi a distanza

Michelly lavora nella periferia di Milano, nel quartiere San Siro. Anche in quella zona, da sempre definita a luci rosse, il mercato del sesso nei mesi scorsi è mutato. Molti operatori del sesso si sono spostati dalla strada agli appartamenti. Molti altre pur lavorando da casa si sono reinventati offrendo i loro servigi, diciamo così, a distanza. “A marzo scorso sono sparita per un po' dalla strada. Con il primo lockdown anche se provavi a metterti sul marciapiede per lavorare non concludevi nulla: i clienti non arrivavano. Così ho iniziato a lavorare un po' in smart working, offrendo sesso virtuale. I clienti più affezionati, che all’inizio di questa pandemia avevano paura a uscire, hanno accettato di acquistare le mie prestazioni con questa nuova formula. Dopo un mesetto, però, la paura non c’era più e questi clienti hanno ripreso a richiedere incontri di persona: così li faccio venire da me in appartamento”. Michelly ha sempre con sé mascherina e gel igienizzante. “Altre precauzioni non ne ho prese e non ne prendo: fare sesso con la mascherina è impossibile”.

La diffidenza nel mercato del lavoro

Transessualità e prostituzione. Un binomio spesso considerato inscindibile, emblema di una società che non può o non vuole accettare chi considera "anormale", simbolo di una società che fa finta di non vedere. L'Italia è uno dei paesi in cui la prostituzione transessuale è più diffusa: oggi, secondo una stima fatta da "Free Woman", in Italia le transessuali sono circa 40mila e circa 10mila vivono prostituendosi. Di queste, il 60 per cento è di origine sudamericana, il 30 per cento italiana e il 10 per cento asiatica, mentre il relativo giro d'affari supera i 20 milioni di euro al mese. Fisici longilinei, seni siliconati e perfetti, sedere tonico, abbigliamento succinto e ammiccante, passo sicuro. Ma anche qualche rimpianto: "Nonostante a me piaccia fare il mio lavoro – continua Michelly -, non nego che mi piacerebbe fare la parrucchiera o la sarta. Il problema è che in Italia nessuno sembra voler assumere una dipendente transessuale. L’alternativa è mettermi in proprio, ma per farlo bisogna avere da parte un bel po' di soldi. La soluzione ideale sarebbe quella che lo Stato riconoscesse il mestiere della sex worker come un lavoro a tutti gli effetti, con diritti e doveri come tutte le altre categorie professionali. Se ognuno fa la propria parte io sarei felice di pagare le tasse”.

Una vita sulla strada, fin da bambina

La storia di prostituzione di Michelly ha origini lontane perché inizia nella sua terra d’origine. Nonostante lei continui ad affermare che nessuno la costringe a prostituirsi e nessuno le chiede il pizzo per il lavoro svolto con i clienti, parlandole emerge un passato triste e agghiacciante. Perché la sua infanzia, agli occhi di chi ha avuto la fortuna di vivere la purezza dell'essere bambino, è stata un incubo. Michelly ha iniziato a prostituirsi in strada all’età di 8 anni, prima Rio de Janeiro e successivamente a San Paolo. Lei racconta di essere scappata di casa con un’amica. “Provengo da una famiglia semplice, mio padre era molto rigido. Dentro di me mi sono sempre sentita una donna, capivo di essere intrappolata nel corpo di un maschietto e così sono scappata di casa e sono finita a Rio de Janeiro”. I suoi clienti erano uomini maturi. “C’erano tanti italiani. Io non mi rendevo conto di ciò che facevo e dei rischi che correvo: per me era un lavoro come un altro. Avevo bisogno di guadagnare e prostituendomi vedevo girare i soldi: era sesso di sopravvivenza”. Michelly ci racconta che i genitori non l’hanno mai cercata. “Li ho chiamati per dire loro che stavo bene e che stavo lavorando a Rio: a loro è bastato questo. Solo una volta diventata maggiorenne e dopo aver cambiato il mio corpo ho detto loro quale fosse il mio lavoro”. A 15/16 anni Michelly ha iniziato la sua trasformazione. “Ho cominciato a prendere ormoni e mi sono sottoposta a diversi interventi chirurgici: mi sono fatta il seno e mi sono gonfiata fianchi e glutei. Il mio unico vero sogno era diventare una donna transessuale e ci sono riuscita”. La sua attività sulle strade brasiliani prosegue per circa tredici anni e quando si tocca l’argomento della presenza di possibili protettori presenti durante i suoi anni di prostituzione in Brasile, lei taglia corto. “Ovviamente, essendo così piccola, avevo chi mi proteggeva”.

Le amiche sirene

Raggiunta la maggiore età, Michelly inizia a valutare la possibilità di trasferirsi in Europa per lavorare. “Avevo amiche trans che facevano già le sex worker in Europa – spiega – Loro mi raccontavano che c’era tanta richiesta di prostitute transessuali, soprattutto in Francia e in Italia”. Queste amiche le raccontano loro dell'incredibile generosità dei clienti italiani, della chirurgia estetica a basso costo, della possibilità di sfondare nel mondo dello spettacolo. Sono delle sirene, alle quali è difficile resistere. Così Michelly arriva in Italia poco più che ventenne e ancora oggi lavora come operatrice del sesso, tra i marciapiedi del quartiere San Siro e le sue mura domestiche e quel desiderio, un giorno, di poter fare la sarta o la parrucchiera.

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