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“Mia moglie uccisa dal magnetismo quantico”, così tenta di difendersi dall’accusa di femminicidio

Jaime Moises Rodriguez Diaz sostiene di non aver ucciso la moglie, ma che lei sia morta per “un processo patologico interiore” dovuto al fatto che la 48enne “praticava l’autoipnosi e studiava la disciplina del magnetismo quantico”.
A cura di Ilaria Quattrone
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Immagine di repertorio
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"Non l'ho uccisa io": continua a giustificarsi così Jaime Moises Rodriguez Diaz, il manager di un colosso del food per il quale è stato chiesto l'ergastolo per il femminicidio della moglie Silvia Susana Villegas Guzman avvenuto ad Arese, comune alle porte di Milano. L'uomo sostiene che la donna sia morta per "un processo patologico interiore" dovuto al fatto che la 48enne "praticava l'autoipnosi e studiava la disciplina del magnetismo quantico", che altro non è che una particolare disciplina che fa parte sempre delle tecniche di ipnosi.

Il 42enne – che è accusato di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e del tentato omicidio di uno dei tre figli – afferma che la donna fosse al secondo livello di studio e questo, unita alla mancanza di esperienza, le avrebbe impedito di "controllare le conseguenze estreme della scelta di autoipnotizzarsi".

Il femminicidio

Stando alle indagini degli inquirenti, il 19 giugno 2021 l'uomo ha picchiato violentemente la donna e poi l'ha strangolata. Avrebbe poi provato a uccidere uno dei figli, quello di 18 anni, che aveva provato a salvare la madre.

L'uomo non ha avvertito i soccorsi nemmeno quando la donna era ormai morta. Ha raccontato di essere rientrato a casa e di aver visto la moglie preoccupata. L'avrebbe quindi abbracciata e in quel momento "ho sentito che lei perdeva i sensi e cadeva battendo la testa sul termosifone". Avrebbe quindi perso sangue "anche perché a quel punto ha avuto un collasso del sistema cardiocircolatorio".

Ha continuato dicendo che gli alveoli dei polmoni "le si sono riempiti di sangue". Dopodiché sarebbe avvenuta l'ipnosi, che secondo lui non avrebbe saputo gestire, e infine la morte.

La richiesta di ergastolo

Le parole dell'imputato non hanno convinto il pubblico ministero Giovanni Tarzia che ha quindi chiesto l'ergastolo. L'uomo non ha mai confessato il femminicidio: eppure ci sono diverse perizie e l'autopsia che mostrano i segni dello strangolamento oltre alle tracce di sangue, con il suo dna, trovate.

Dopo aver ucciso la moglie, avrebbe anche provato a uccidere il figlio strangolandolo con la cintura. Il ragazzo è riuscito a difendersi "con le unghie e con i morsi e il padre non è riuscito ad ucciderlo solo per l’intervento salvifico dell’altro fratello, intervenuto mentre lui quasi non respirava più".

Gli stessi figli avevano raccontato che l'uomo era "estremamente violento e pericoloso". Le violenze sarebbero iniziate già quando la famiglia viveva in Messico. La difesa dell'uomo ha chiesto di disporre una perizia medico legale proprio per valutare se la donna fosse morta a causa di patologie pregresse. La richiesta è stata però respinta. La sentenza arriverà il 15 novembre.

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