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L’assessore Maran: “Con i fondi europei saranno gli anni della svolta per le case popolari a Milano”

Pierfrancesco Maran è l’assessore alla Casa e al Piano quartieri del Comune di Milano nella nuova giunta targata Beppe Sala. Il problema abitativo è da sempre al centro del dibattito politico, tra case popolari e caro affitti per il ceto medio. Fanpage.it ha intervistato il neo assessore per capire quali saranno i punti centrali del suo mandato e le sfide per la gestione del patrimonio abitativo.
A cura di Simona Buscaglia
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Pierfrancesco Maran è l'assessore alla Casa della giunta Sala bis. Dopo la delega all'urbanistica negli scorsi cinque anni e dopo aver incassato il risultato di più votato d'Italia alla tornata elettorale dello scorso 3 e 4 ottobre, ora l'esponente del Pd dovrà affrontare una delle questioni più spinose a Milano, ovvero quella abitativa. Fanpage.it lo ha intervistato per capire quali saranno i punti fermi nel suo nuovo incarico e i progetti per il capoluogo lombardo. A chi ha già maliziosamente parlato di una delega di serie B, Maran ha replicato di voler rendere quello della casa un tema "di serie A".

Assessore, aveva detto che avrebbe battuto Salvini. Lui non si è candidato, ma vedendo i voti che lei ha preso lo avrebbe battuto davvero. Come si sente ad essere stato il più votato non solo a Milano ma d'Italia alle ultime Comunali? Sente anche il peso di questa responsabilità?

Il consenso genera responsabilità e attese da parte dei cittadini. È un riconoscimento che mi fa indubbiamente piacere però siamo già immersi nel nuovo lavoro, nella nuova attività, che è simile alla precedente ma guarda il territorio da un altro punto di vista che è quello dei quartieri popolari.

Quarto mandato, terza volta da assessore, ci si abitua mai a Palazzo Marino?

Lo si conosce bene e credo che questo venga spesso svilito. Io non so se la politica sia una professione ma so che va fatta con professionalità e sapere come funziona un ente locale, un comune, quali sono le potenzialità e i limiti di una struttura penso che sia essenziale. Oggi vediamo se riusciremo anche a metterle a disposizione nelle nuove deleghe.

Il centrosinistra ha vinto non solo a Milano ma anche in altre grandi città, pensa sia un nuovo capitolo della politica in Italia? Si può pensare di vincere anche in Regione Lombardia?

Abbiamo dimostrato che nelle città c’è una classe dirigente, almeno nel centrosinistra e viene da storie diverse. A Bologna e Torino hanno vinto due assessori o ex assessori, tramite le primarie, a Napoli un grande rettore universitario, Gualtieri e Sala due figure di spicco nei loro campi. Intorno a loro delle squadre che erano già più o meno formate e competenti. Credo che sia una fase storica in cui il tema della competenza e dell’affidabilità ha ripreso vigore, che sia un po’ passata quella stagione dell’uno vale uno, e potrebbe anche essere uno dei lasciti positivi di questa pandemia. Anche in Lombardia io credo che tutte le partite vadano fatte con l’idea che si lotti per vincere e guadagnare delle opportunità e il centrosinistra in Lombardia governa larga parte delle grandi città lombarde. Di sicuro c’è un problema strutturale in comuni piccoli e medi e non è detto che non si possano trovare delle soluzioni per quei lombardi, penso che se si fanno le cose con impegno i risultati possono arrivare.

Secondo lei cosa non ha funzionato nei candidati civici che sono stati proposti non solo a Milano e che in larga parte non hanno convinto l'elettorato?

Intanto, erano tutte candidature che sembravano un po’ estemporanee, forse con l’eccezione di Damilano a Torino. Oggi è un momento dove si cerca qualcuno che conosca profondamente la città e che possa essere parte della soluzione dei problemi. Credo che sia quasi un’ideologia il dire che per fare politica non si debba aver fatto politica prima: quella mi è sembrata una ricerca fine a se stessa e poi hanno avuto anche poco tempo per farsi conoscere.

Il problema abitativo a Milano è da sempre al centro del dibattito politico, quali sono i punti su cui si deve andare a lavorare?

Io affronterei principalmente due temi. Il primo è la questione dell’abitare pubblico, oggi l’11-12 per cento dei milanesi abita in case popolari che sono in larga parte malconce e critiche anche dal punto di vista sociale. Sono convinto che si possa fare un grande lavoro, anche unitamente alle risorse europee di cui il nostro paese dispone per cercare di dare una svolta positiva a queste case e ai quartieri dove queste case insistono. Il secondo tema riguarda invece larga parte della popolazione, non solo chi abita nelle case popolari. Milano viene da un decennio di grandissimo successo. Fa parte di quelle città europee in grande crescita e il rovescio della medaglia è un incremento significativo dei costi al metro quadro delle abitazioni. Questo è fantastico se si possiede una casa perché magari ci si è trovati una rivalutazione dell'immobile al 10-40 per cento in cinque anni ma è critico se invece vieni a vivere a Milano, se sei un giovane, se hai perso un lavoro, o ti sei separato. Non è facile trovare una soluzione per questo tipo di problemi anche perché se guardiamo all'Europa sembra quasi che sia un fenomeno irreversibile. Credo però che tra il libero mercato e l'edilizia popolare possa esistere una fascia di mezzo legata all'edilizia convenzionata e alla collaborazione tra il pubblico e il privato di natura sociale che possa evitare il fatto che Milano diventi una città esclusiva ed escludente. Credo che un po' di correttivi possiamo essere in grado di metterli in campo, in parte sono in corso, pensiamo che abbiamo chiuso il mandato scorso autorizzando la costruzione di cinquemila posti letto per studenti universitari e 8 mila appartamenti in edilizia convenzionata per la classe media e le giovani famiglie, questo può aiutare a calmierare quella che altrimenti rischia di essere una criticità importante delle città. Poi, meglio doverla gestire che trovarsi in una situazione di stagnazione economica come capita in buona parte delle altre città italiane però dobbiamo gestirla

Prima delle elezioni parlava della volontà di accorpare la gestione delle case popolari che adesso a Milano sono divise tra Mm e Aler. Sarà questo uno degli obiettivi del suo mandato?

Ci dobbiamo lavorare, gli accordi ovviamente si fanno in due e le case popolari di Aler sono di proprietà di Regione Lombardia però dobbiamo trovare una soluzione perché il rischio è che questa struttura in particolare quella di Aler che è la più indebitata e più critica, non abbia la forza di poter gestire le risorse che sono arrivate dall'Europa. Siccome viviamo una finestra unica nel suo genere per quantità d'investimenti se non la sfruttiamo è difficile che ci sia una seconda occasione. L'idea di trovare una modalità nuova per gestire le case popolari, anche fare una sorta di anno zero nella gestione delle case popolari deve accompagnarsi con l'unicità del momento storico e quindi la domanda che ci dobbiamo fare con il sindaco Sala e il presidente Fontana è: qual è lo strumento migliore per riuscire a mettere a terra i miliardi di investimenti che possiamo fare sulle case? Di sicuro non è il modello Aler attuale, come non lo è il modello di MM che funziona un po' meglio di Aler ma da solo non basta. Spero che in qualche mese possiamo trovare una formula migliorativa nell'interesse di chi abita nelle case popolari.

Ha già parlato con l'assessore regionale alla Casa Alessandro Mattinzoli?

Ci incontriamo in settimana per la prima volta, vediamo se ci saranno le condizioni. Il Comune di Milano si presenterà con grande determinazione per trovare una formula positiva. Comune e Regione hanno colore politico opposto, sono spesso in competizione, però ci sono dei temi su cui bisogna avere la forza di andare oltre e se l'11 per cento dei milanesi vive in quelle case, prima vengono loro e poi vengono le differenze politiche e vediamo se per aiutare loro troviamo una formula che va bene a tutti. Io spero di sì e penso che esista.

C'è qualcuno nel centrodestra che ha detto che le è stato dato un incarico di serie B dopo quello di assessore all'urbanistica nonostante i tanti voti ottenuti alla tornata elettorale, cosa risponde?

Hanno ragione, nel senso che nella loro logica i quartieri popolari e le case sono deleghe di serie B da cui attingere voti ma in cui non produrre soluzioni, anzi, il mantenerle in situazioni di degrado nella loro logica porta quei quartieri a far votare a destra quindi io invece ho accettato quelle deleghe perché voglio, ed è l'accordo con il sindaco Sala, che diventino di serie A. Cioè, l'attenzione dei prossimi anni del Comune di Milano è volta a cercare di dare una svolta a quella parte di quartieri popolari che non è cambiata, che non sono le periferie. Laddove c'è un mix abitativo maggiore e migliore e non ci sono solo le case popolari la periferia è stata rivoluzionata in questi anni. Mancano i quartieri popolari e con Sala lavoreremo perché siano gli anni della svolta.

Un'inchiesta giornalistica di Fanpage.it ha mostrato l'esistenza, anche e nello specifico a Milano, di una destra estrema che non rinnega il fascismo, che cerca di permeare la destra istituzionale, e che potrebbe aver portato voti a candidati che oggi siedono in Consiglio. 

Mi pare sia andata abbastanza così. Quello che non bisogna sottovalutare della destra estrema è la loro intelligenza tattica sia nella gestione delle piazze e dei percorsi politici. Quello che sappiamo da ormai 20-30 anni è che l'estrema destra che si presenta sotto il suo vero nome non prende voti a Milano. Controlla poche migliaia di voti che possono essere messi a disposizione per orientare il dibattito di partiti formalmente meno estremisti perché invece la partita delle preferenze tramite quei voti può cambiare. Credo che sia un tema che va affrontato con grande attenzione, che l'inchiesta pone con visibilità e che interroga i due partiti coinvolti, Lega e Fratelli d'Italia, perché diano una risposta chiara: vogliono tagliare con quel mondo? Sì o no? Devono rispondere loro a questa domanda, noi dobbiamo rispettare il fatto che ci sono delle elezioni che eleggono delle persone che hanno indubbiamente pieno titolo di stare nelle istituzioni anche quando hanno delle idee che noi odiamo

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