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La truffa da 20 milioni di euro sul reddito di cittadinanza: “Usati i dati di una donna uccisa nel 2013”

Un sodalizio criminale che ha operato una truffa per un danno allo Stato di venti milioni di euro: è quanto scoperto dalla Guardia di finanza di Cremona e Novara.
A cura di Ilaria Quattrone
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Una truffa da milioni di euro ai danni dello Stato che ha portato all'arresto di sedici persone: è questo il risultato delle indagini condotte dalla guardia di finanza di Cremona e Novara a novembre scorso. In base a quanto scoperto dagli inquirenti, gli indagati avrebbero richiesto e ottenuto indebitamente il Reddito di cittadinanza. Gli investigatori si sono concentrati su quattordicimila domande e dalle loro analisi è emerso che oltre novemila erano state elaborate da persone che non possedevano i requisiti necessari a ottenere la misura di sostegno.

Così la banda truffava lo Stato

A dar vita alla truffa – come spiegato a Fanpage.it dal colonnello Cesare Maragoni, comandante provinciale della Guardia di Finanza di Cremona – sarebbe stata una banda composta da persone di origine rumena. A ogni membro era affidato un compito preciso: alcuni avrebbero procurato i documenti necessari per formulare la domanda e altri avrebbero avuto contatti con dei funzionari che avrebbero fornito i codici fiscali. Completate queste operazioni, le domande venivano presentati in alcuni Caf dove, grazie alla compiacenza dei titolari, sarebbero state compilate le domande per richiedere il Reddito. Infine altre persone del gruppo criminali, avrebbero avuto il compito di ritirare le card negli uffici postali. Una volta avuta la consapevolezza – grazie alle perquisizioni delle forze dell'ordine – di essere al centro di indagini, il sodalizio si sarebbe rivolto ad altri Caf, i cui titolari minacciati e spaventati avrebbero completato le domande.

Le indagini della guardia di Finanza

Stando agli approfondimenti delle Fiamme Gialle, parte delle persone intestatarie delle domande sarebbero state all'oscuro di come i loro dati venivano trattati. In un caso particolare, sarebbero stati utilizzati i dati e i documenti di una donna uccisa nel 2013 a Pavia. Tanti altri, nel presentare la domanda, avevano indicato la stessa residenza. Non solo la stessa via, ma anche lo stesso numero civico. Una situazione inverosimile, la cui assurdità è stata poi confermata dal fatto che questi cittadini – tutti di origine romena – non risiedevano in Italia. Un requisito che, nella presentazione della domanda per ottenere il Reddito di cittadinanza, è fondamentale. Per l'approvazione della richiesta è infatti necessario risiedere in Italia da almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in maniera continuativa.

I video pubblicati su TikTok da una delle indagate

Nell'ultimo periodo, le truffe sul reddito di cittadinanza sono aumentate. A facilitare queste condotte fraudolente, secondo il professore Paolo Balduzzi, docente di economia pubblica dell'Università Cattolica, è soprattutto la burocrazia: "La burocrazia esaspera e facilita a mentire sui requisiti – spiega a Fanpage.it -. Questo è fatto in maniera più semplice dalle persone che sono abituate a questo tipo di comportamento". Una tesi confermata anche dalla spavalderia mostrata da una degli indagati dell'operazione della guardia di finanza di Cremona e Novara. La donna sul suo profilo TikTok – ormai rimosso – aveva pubblicato dei video in cui si mostrava intenta a conteggiare centinaia di banconote.

La storia di Anna, la volontaria alla quale è stata respinta la domanda

Secondo il professore Balduzzi, la burocrazia facilita le cose per chi commette azioni illecite mentre le complica per le persone che ne avrebbero diritto. E tra loro c'è Anna, senza lavoro da due anni e volontaria dall'Aria 51 di Rozzano (Milano) centro d'aiuto per persone in difficoltà e gestito da un ex detenuto. Nonostante abbia presentato due volte domanda per ottenere il reddito, entrambe le volte le è stata rifiutata: "La prima volta – racconta a Fanpage.it – mancava un documento. Mio figlio l'ha compilato e abbiamo rinviato tutto, ma è stata comunque rifiutata la domanda". Il problema, stando a quanto raccontato dal figlio di Anna, è che "loro si rifanno all'indicazione situazione reddituale che è di 12.965 euro, ma in realtà l'Isee è di 6.263,45 euro. A questo però si somma il patrimonio mobiliare, immobiliare del nucleo e altre voci che vanno a formare l'indicatore della situazione economica". Il figlio di Anna non lavora ed entrambi vivono con la pensione di inabilità della donna che è di 480 euro: "Nonostante abbiamo documenti che attestino quanto guadagniamo, non percepiamo il reddito. Nella presentazione della domanda vogliono la giacenza bancaria media che è la media di tutto quello che è stato depositato nell'anno, il problema è che lo vogliono di due anni prima. Magari uno due anni prima lavorava e quindi non hai diritto alla prestazione". L'unica cosa da fare per i due è aspettare gennaio sperando che l'Isee di due anni non risulti più: "Con la pensione pago affitto, luce, gas. In questo modo non posso fare la spesa: vorrei solo quello che mi aspetta".

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