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Notizie sull'inchiesta sul Covid a Bergamo

Dai camion per le salme all’inchiesta sul Covid: cosa si sa sulla mancata zona rossa a Bergamo

Il 18 marzo del 2020 dal cimitero di Bergamo esce una fila di camion dell’esercito per portare fuori regione le salme che non si riescono a cremare perché i morti sono troppi. Quella data è diventata la giornata in memoria delle vittime del Covid-19. Intanto, dopo tre anni, la Procura di Bergamo ha chiuso l’indagine sulla mancata zona rossa a Nembro e Alzano.
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Ve lo ricordate il primo mese di Covid-19 nella provincia di Bergamo? I camion militari per trasportare i troppi morti, i malati lasciati soli in casa e gli ospedali al collasso? Secondo la relazione del microbiologo Andrea Crisanti, oggi senatore del Partito democratico e consulente della procura di Bergamo, si sarebbero potute salvare più di 4000 vittime, se solo fosse stata istituita la zona rossa nella provincia di Bergamo. Ma chi doveva istituirla? E perché non l’ha fatto? Dopo tre anni la procura di Bergamo ha appena concluso le indagini sulla gestione Covid in Val Seriana: un'inchiesta che dovrebbe finalmente individuare i responsabili del disastro.

La mancata zona rossa in Val Seriana

Sono i giorni in cui a Codogno viene istituita la prima zona rossa d’Italia, con divieto di ingresso e di uscita, militari e forze dell'ordine nei check point. Ma appare realistico ipotizzare che in Val Seriana e in altre zone della Lombardia il Coronavirus stesse circolando già da diverse settimane.

Il 23 febbraio all'ospedale di Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo, vengono trovati due pazienti positivi e, per qualche ora, si decide di chiudere il pronto soccorso. A raccontare a Fanpage.it quella domenica è stato, in un'intervista del 4 giugno del 2021, Giuseppe Marzulli, all'epoca direttore medico dell'ospedale di Alzano: "L’ospedale riaprì dopo circa quattro ore e mezzo".

Come si arrivò a questa decisione? "Quello che posso dire – risponde il medico – è che la nostra direzione generale era in contatto con Regione Lombardia. Ma era una decisione che assolutamente non condividevo".

L'ospedale riapre lo stesso nonostante l'allarme e uno tsunami si sta per abbattere sulla Val Seriana. "Il giorno dopo tornai a lavoro con la consapevolezza che sarebbe successo il disastro".

C'è dell'altro però: chi è stato all'ospedale di Alzano non viene tracciato. Lo ha raccontato a Fanpage.it Francesco Zambonelli, un cittadino di Villa Di Serio, il 31 marzo del 2020. "Mia mamma viene ricoverata il giorno 12 febbraio, il 20 ha una crisi respiratoria e il 22 è spirata".

Zambonelli e il padre erano andati a trovarla in ospedale più volte, si celebra il funerale della donna con un centinaio di persone. A quel punto anche il padre di Zambonelli prende il Covid e morirà di lì a poco. "Sono sicuro che mio papà ha preso il Covid lì, perché usciva di casa soltanto per andare a trovare mia mamma all'ospedale".

Il tracciamento dei contatti non esiste: "Noi siamo usciti dall'ospedale – conclude Zambonelli – con mia mamma deceduta e non siamo mai stati contattati dalle strutture ospedaliere". Secondo la relazione di Crisanti, all'ospedale di Alzano al 23 febbraio sono 55 gli operatori sanitari già infettati e il virus era entrato nei reparti a inizio mese.

Nel frattempo si moltiplicano gli appelli ad andare avanti: tra post sui social e video che minimizzano il problema, il mantra è “Non fermiamoci”. In un video del 28 febbraio la sezione locale di Confindustria dice "Bergamo is running". Oggi c’è gioco facile a dire che a correre era il virus. Ma da quel giorno tutto precipita

E sarebbe bastato andare all'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo per capire quale fosse la situazione. Un tifoso dell’Atalanta che ha preso il virus viene ricoverato il 29 febbraio e il 28 marzo del 2020 ha raccontato a Fanpage.it quello che ha visto: "Ci hanno indirizzato in un'area transennata, si stava creando un ammasso di persone, eravamo tutti attaccati alla parete con dei tubicini da cui usciva l'ossigeno".

Lo stesso viene confermato dal dottor Roberto Cosentini, direttore dell'emergenza del Papa Giovanni: "Negli ultimi giorni di febbraio avevamo capito e poi c'è stata una salita esponenziale per cui appunto siamo arrivati anche a 80-90 pazienti al giorno".

Per tanti malati il ricovero in ospedale arriva troppo tardi: le testimonianze dei familiari delle vittime sono strazianti. "La rabbia che io ho – racconta una di loro il 29 marzo del 2020 – è che nessuno abbia visitato mia mamma in una settimana di tempo.

"Non dico proprio il primo giorno di febbre – aggiunge un'altra – ma il terzo giorno, quando mio padre è svenuto, loro dovevano venire. Invece non è venuto nessuno".

Il 7 marzo 2020 Fanpage.it è a Nembro con le telecamere: soltanto in quel giorno ci sono dieci funerali. Nel frattempo, al bar di fronte alla chiesa si fanno aperitivi per esorcizzare la zona rossa: "Beviamoci l'ultimo caffè", ci dice una cittadina.

La sera del 7 marzo, infatti, viene annunciato il lockdown, ma a quel punto riguarda l’intera Lombardia. E infatti si diffondono le immagini di decine di persone che cercano di prendere l'ultimo treno nella notte per lasciare Milano.

Il 9 marzo viene estesa la zona rossa a tutta Italia e dall'11 marzo il Paese entra in lockdown. A Bergamo, però, il numero dei morti è impressionante: in tutta la provincia, tra febbraio e aprile 2020, sono morte 6000 persone in più rispetto alla media degli anni precedenti.

"Noi, nell'analogo periodo, l'anno scorso abbiamo avuto una ventina di morti, a fronte di 177 morti che registriamo oggi", dice il 19 maggio del 2020 l'allora sindaco di Nembro, Claudio Cancelli. I servizi di pompe funebri lavorano senza sosta: "riuscivamo a gestire mediamente 1300-1400 servizi all'anno, sono diventati 500 in 15 giorni", racconta la titolare di un'agenzia.

Sette giorni dopo l'inizio del lockdown dal cimitero di Bergamo esce una fila di camion dell'esercito per portare fuori regione le salme che non si riescono a cremare, perché i morti sono troppi.  Era il 18 marzo 2020 e quella data è diventata la giornata in memoria delle vittime del Covid-19.

Il dramma vissuto da centinaia di famiglie porta alla fondazione di un comitato che oggi si chiama "Sereni e sempre uniti" e che a giugno dello stesso anno ha consegnato gli esposti in Procura.

L'inchiesta della Procura di Bergamo

Perché nessuno ha istituito la zona rossa in Val Seriana, come era stato fatto a Codogno? Chi doveva farla? La Regione Lombardia scarica le responsabilità sul governo di Giuseppe Conte.

In realtà tra il 27 e il 28 febbraio è proprio Attilio Fontana a scrivere al governo non segnalando alcuna criticità relativa alla diffusione del contagio nei Comuni della Val Seriana. Secondo la Procura, invece, sarebbe stato proprio quello il momento per fare la zona rossa.

Esiste infatti il Piano Covid, scritto per il Comitato tecnico scientifico dal professor Stefano Merler, un epidemiologo di fama internazionale, che stabilisce lo scenario più catastrofico all'arrivo a 1000 contagi. Dopo 38 giorni dal caso 1, in Lombardia ci si era arrivati in soli 8 giorni.

Ma poi è anche il governo a temporeggiare: in una riunione del 2 marzo il portavoce del CTS Silvio Busaferro espone direttamente a Conte e a Speranza i numeri allarmanti del contagio a Nembro, Alzano e Cremona e propone misure analoghe alla zona rossa.

Conte risponde che la misura va usata con parsimonia perché ha un costo sociale, politico ed economico molto elevato. A giugno 2020, però, lo stesso Conte dice ai magistrati di Bergamo di aver saputo della gravità della situazione in Val Seriana solo il 5 marzo e di aver chiesto ulteriori approfondimenti.

Il 5 marzo, in effetti, Speranza aveva predisposto la zona rossa per i comuni della Val Seriana ed era stato mobilitato anche un contingente di militari e polizia. "Arrivavano le voci, io e il mio collega di Alzano la davamo per ormai scontata. Ogni giorno ci dicevamo che sarebbe stata predisposta la zona rossa e poi  e non succedeva nulla", racconta il Sindaco di Nembro.

Conte, infatti, non controfirma il decreto e dirà poi di non aver mai ricevuto il documento. "O faceva un decreto la Regione Lombardia o lo faceva il governo o, come penso che sarebbe stato bene fare, lo facevano entrambi e invece ci si è rimpallati", aggiunge l'ex sindaco.

Insomma, Governo e Regione continuano a scaricare la responsabilità l'uno sull'altro e la Procura di Bergamo li indaga tutti. Certamente non si può guardare a quel periodo con gli occhi e le conoscenze scientifiche di oggi e pensare che il corso della pandemia in Italia sia dipeso solo dalla mancata chiusura della Val Seriana.

Ma le famiglie di quei morti meritano di sapere se ci sono e di chi sono quelle responsabilità.

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