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Notizie sull'inchiesta sul Covid a Bergamo

Inchiesta Covid, cosa accadde nei primi giorni di pandemia e perché la zona rossa non arrivò in tempo

Il personale sanitario della Lombardia segnalava l’emergenza già da fine febbraio, ma la zona rossa nazionale è arrivata solo il 9 marzo 2020. Con le carte dell’inchiesta della Procura di Bergamo si possono ricostruire quei giorni, e il dibattito politico che rallentò la decisione su Alzano e Nembro.
A cura di Luca Pons
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L'indagine della Procura di Bergamo sulla gestione della prima fase della pandemia ha coinvolto esponenti politici come Giuseppe Conte e Roberto Speranza (allora presidente del Consiglio e ministro della Salute), ma anche il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana. Gli indagati in tutto sono diciannove. Una perizia del microbiologo Andrea Crisanti  ha scoperto che il Covid-19, nell'ospedale di Alzano in Val Seriana, circolava già da inizio febbraio e che la data di non ritorno per l'Italia è stata il 28 febbraio 2020. È possibile ricostruire i primi giorni della pandemia per capire come si è mosso il dibattito sulla zona rossa, arrivata solo il 9 marzo 2020.

Gli allarmi del personale sanitario, l'indifferenza della politica

Il 29 febbraio 2020 Marco Rizzi, il direttore del reparto Malattie infettive dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo scriveva: "La crescita di questa epidemia è rapidissima. Non abbiamo più letti. I 17 posti in terapia intensiva sono occupati. I cento destinati ai malati Covid-19 sono tutti occupati", come riportato dal Corriere della Sera. Il mondo della politica, però, non aveva ancora preso una posizione ferma sulla pandemia.

Solo la sera prima, il 28 febbraio, il sindaco di Milano Beppe Sala e il segretario del Pd Nicola Zigaretti avevano partecipato a un aperitivo sui Navigli per l'iniziativa #Milanononsiferma.

Il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, il 26 febbraio aveva chiesto di andare avanti "senza allarmismi", dicendosi "convinto che un virus non fermerà Bergamo, né oggi né in futuro".

Da quel momento fino al 7 marzo, giorno cui è stato deciso il lockdown su tutto il territorio nazionale, ci sono stati diversi errori di valutazione specialmente per quanto riguarda la Lombardia, la zona colpita per prima dal Covid-19. L'indagine della Procura dovrà stabilire se siano stati errori che comportano una responsabilità penale, oppure no.

L'audio segreto della riunione tra Speranza, Fontana e Gallera

Il 3 marzo 2020 si è svolta a Milano una riunione che coinvolgeva, tra gli altri, il ministro della Salute Roberto Speranza, il presidente della Regione Attilio Fontana, l'assessore al Welfare Giulio Gallera e gli epidemiologi Danilo Cereda e Vittorio De Micheli. Durante quella riunione è stato registrato un audio, allegato agli atti di indagine. Nell'audio si sente anche una conversazione relativa alla zona rossa di Alzano e Nembro.

"Tutto quello che abbiamo fatto finora non porta nessun segnale minimo di contenimento, ancora zero", ha detto Speranza, rassicurato da Gallera: "È presto, poi il dato è un po’ grezzo…". Lo stesso Speranza ha sottolineato: "Queste persone si potrebbero essere ammalate prima dell’inizio delle nostre misure, perché le misure le abbiamo messe in campo da una settimana. Ancora non vediamo…". E la correzione di Fontana: "Dieci giorni".

L'epidemiologo De Micheli è intervenuto chiedendo più sforzi dal punto di vista della comunicazione: "Sentiamo la necessità che il clima di preoccupazione cresca un po’ più di quello che è stato", ha detto, perché sugli effetti e la diffusione del virus "c’è molta sottovalutazione". Qui è intervenuto di nuovo Gallera, parlando di zona rossa: "Alzano e Nembro… Voi volevate fare… secondo me, l’idea della zona rossa lì, al di là che dia il messaggio che sia perfettamente lì… però là abbiamo il secondo focolaio… sta crescendo e là non c’è la percezione perché chi abita lì… questi continuano a uscire, vanno in giro".

La risposta di Speranza: "Più si annuncia, più si scappa". E Gallera, per quanto non sia semplice ricostruire l'andamento della conversazione, sembra aver sottolineato l'ipotesi di una zona rossa: "Quindi bisognerebbe proprio… che ha fatto la proposta…". Il ministro ha concordato: "Sì sì, ci stanno ragionando… Appena rientro, provo…".

L'altro epidemiologo presente, Cereda, ha provato a espandere l'idea: "Al limite potrebbe arrivare anche oltre provincia di Lodi che ne ha 500. Quindi il focolaio è nato secondario, ma potrebbe diventare il peggiore della Lombardia. Mentre con la zona rossa… qualcosina…". Ma qui Gallera ha frenato: "Non la città, la città ancora è abbastanza… è a 40, 50… Sono i due Comuni sopra…", cioè Alzano e Nembro.

La richiesta del Cts sei giorni prima del lockdown nazionale: "Zona rossa per Alzano e Nembro"

Quella sera, sempre il 3 marzo, il Comitato tecnico scientifico ha messo in evidenza che Alzano e Nembro avevano "fatto registrare ciascuno oltre 20 casi, con molta probabilità ascrivibili a un’unica catena di trasmissione", cosa che faceva presupporre un "alto rischio di ulteriore diffusione del contagio". Così, il Cts ha proposto "di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei Comuni della “zona rossa”", ovvero Codogno, "al fine di limitare la diffusione dell’infezione nelle aree contigue".

Il decreto che è arrivato il giorno dopo, però, riguardava la chiusura di scuole, università, cinema e teatri fino al 15 marzo. Per quanto riguarda la proposta di zona rossa ad Alzano e Nembro, invece, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha chiesto "di acquisire ulteriori elementi per decidere se estendere la “zona rossa” a questi due soli comuni oppure, in presenza di un contagio ormai diffuso, estendere il regime all’intera Regione Lombardia e alle altre aree interessate". Nel frattempo, però, la zona rossa non è stata attivata.

La risposta del coordinatore del Cts, Silvio Brusaferro, è arrivata il giorno dopo, il 5 marzo: "Pur riscontrandosi un trend simile ad altri Comuni della Regione, i dati in possesso rendono opportuna l’adozione di un provvedimento che inserisca Alzano Lombardo e Nembro nella zona rossa". Una risposta piuttosto chiara. Il ministro della Salute ha scritto e firmato una bozza di decreto, ma Conte non l'ha firmata. Ha detto, pochi giorni fa, che non è mai finita sulla sua scrivania e di aver saputo solo nei giorni successivi che questo documento esisteva.  Alla Stampa, invece, Speranza ha dichiarato che Conte non ha firmato perché nel giro di pochi giorni sarebbe arrivato il lockdown nazionale.

La zona rossa nazionale e il rimpallo di responsabilità tra governo e Lombardia

Il 6 marzo, Conte ha incontrato il Cts, ma da quella riunione non è emersa una soluzione immediata. La mossa è arrivata alle due di notte del 7 marzo, quando il presidente del Consiglio ha annunciato la zona rossa in tutto il territorio nazionale con un decreto entrato in vigore il 9 marzo. Nove giorni dopo l'allarme di Marco Rizzi dall'ospedale di Bergamo, che non era stato il primo né l'unico.

Già all'epoca dei fatti, il presidente del Consiglio ha sottolineato che "le Regioni non sono mai state esautorate del potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti". Ovvero, la Lombardia avrebbe potuto istituire una zona rossa di sua iniziativa, come avevano fatto altre Regioni. Non ha avuto il potere, invece, di riaprire le attività commerciali poche settimane dopo l'inizio della pandemia, come chiesto più volte dal presidente Fontana.

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