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Cosa scatta nella testa di un uomo che tenta di uccidere la figliastra di nove mesi

Che cosa alberga nella mente degli uomini maltrattanti? Si tratta di uomini non in grado di gestire le proprie frustrazioni, ma consapevoli degli episodi criminosi che commettono al danno dei più deboli.
A cura di Anna Vagli
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Il 2022 ce lo ricorderemo come l’anno della mostruosità familiare. Un anno di crimini maturati all’interno della famiglia che, da posto più sicuro al mondo, sembra essersi trasformato in quello più pericoloso.

L’ultimo in ordine di tempo si è verificato nel pomeriggio di ieri a Casarile, alle porte di Milano. Una bambina di nove mesi è stata ricoverata in condizioni gravissime dopo essere stata presa a calci e pugni dal compagno della madre.

Il tentato infanticidio di Casarile

Stando a quanto emerso, a chiamare i soccorsi sarebbe stata la nonna della piccola recatasi nell'abitazione dietro sollecitazione della madre preoccupata a causa della non reperibilità del compagno. L'uomo, in attesa della convalida del fermo, avrebbe confessato.

Ancora una volta un tentativo di infanticidio, nel caso specifico perpetrato dal compagno della madre. Una storia che per molti versi ricorda quella di Evan Lo Piccolo, il bambino di Rosolini massacrato di botte da Salvatore Blanco.

Ma che cosa alberga nelle menti di questi uomini? Anzitutto, è necessario ragionare considerando questi ultimi come parti integranti della famiglia e non come uomini lontani dalla stessa solo perché carenti del vincolo di sangue.

Le ragioni di crimini così aberranti

Sono crimini che non hanno necessariamente alla base processi emotivi legati a patologie o alterazioni mentali. Spesso, e appare questo il caso, scaricare la frustrazione sui figli o sui piccoli che si hanno in custodia appare al carnefice l’unica strada per risolvere un dramma personale.

Una strada maestra che, in concreto, è un vicolo cieco. Strada che però viene percepita dalla figura di riferimento come unico modo per riprogrammarsi e riappropriarsi dell’identità perduta.

In altri termini, il soggetto avverte la necessità impellente di compiere gesti imperiosi che sfuggono certamente al controllo. Ma non alla consapevolezza.

Una consapevolezza confermata dalla circostanza per la quale l'uomo, dopo aver riversato la propria furia sulla piccola inerme, l'ha riposta nella culla. Esattamente nel posto dove è stata ritrovata dalla nonna accorsa a controllare la situazione.

Quanto al profilo socio-relazionale, nella maggior parte dei casi si tratta di uomini sopraffatti da emozioni incontrollabili, che magari abusano di sostanze, vivono in un contesto di disagio e sono incapaci di rispondere positivamente a quelli che vengono definiti “stressor event”. Ma soprattutto che hanno alle spalle uno storico di condotte violente.

Da tale angolo di visuale, frequentemente la macchina infernale che termina con la soccombenza dei più deboli è innescata dalla conflittualità relazionale. Dunque, è verosimile ipotizzare che la bambina di nove mesi sia già stata vittima di abusi di tipo fisico. E forse non soltanto lei.

In effetti, depone in questo senso il dato per il quale la madre, preoccupata per la non reperibilità del compagno, ha dato incarico alla nonna di recarsi nella loro abitazione. Dunque, a muovere la donna potrebbe essere stato il timore scaturito da episodi ricorrenti di violenza.

Del resto, la famiglia che danneggia il minore è un nucleo che sovverte reiteratamente l'ordine naturale: da protettrice dei suoi componenti diviene carnefice degli stessi.

Nella speranza che la bambina possa cavarsela, la stessa non potrà comunque raccontare che cosa le è accaduto e se già c'erano stati dei precedenti. Ha solo diciotto mesi.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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