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Avvocato finisce in carcere da innocente: “Per anni mi hanno accusato di aiutare la ‘ndrangheta”

A Fanpage.it l’avvocato Giuseppe Melzi racconta la sua storia di vittima di un errore giudiziario: “Ero un avvocato che difendeva le vittime di criminalità economica, poi l’arresto da innocente per favoreggiamento a un clan di ‘ndrangheta”.
A cura di Giorgia Venturini
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"Immaginate di essere uno stimato avvocato di Milano e di aver speso la vostra vita professionale difendendo le vittime della criminalità economica, come i risparmiatori del crac di Michele Sindona. Immaginate che però in un giorno finite in carcere per mesi con un'accusa infamante, quella di riciclaggio per un clan della ‘ndrangheta". Racconta a Fanpage.it la sua storia l'avvocato Giuseppe Melzi, vittima di un caso di errore giudiziario.

Tre mesi di carcere a San Vittore e a Pavia e tre mesi di carcerazione domiciliare. Per quattro anni e mezzo ha avuto i telefoni sotto intercettazione: 11mila registrazioni su chiamate di lavoro e private. Tutto questo da innocente. L'accusa è di favoreggiamento al clan di ‘ndrangheta Ferrazzo.

"Tutta la mia vita e la vita dei miei collaboratori è finita sotto intercettazione" racconta in un'intervista rilasciata a Fanpage.it l'avvocato Melzi. Ho passato notte e giorno in una cella di tre metri per due: camminavo avanti e indietro per cercare di tenermi vivo e scaldarmi. Ma io non sapevo neanche chi fossero i Ferrazzo".

Le indagini a suo carico sono andate avanti per anni e anni: le manette nei suoi confronti sono scattate il primo febbraio del 2008 con l'accusa di aver offerto competenze alla cosca crotonese per riciclare milioni e milioni di euro frutto di affari illeciti. Accuse pensanti con "11mila pagine in cui sostanzialmente non c'è assolutamente nulla". Anni dopo però, senza che lui venga avvisato, tutto viene archiviato.

L'arresto

Il giorno dell'arresto l'avvocato lo racconta così: "Mi trovavo nel mio studio. Avevo un appuntamento con un amico per andare a mangiare una pizza. Appena lo salutai arrivarono due persone in borghese che mi chiesero se ero io l'avvocato Giuseppe Melzi. Mi dissero di avere un provvedimento per me e mi invitarono a seguirli per la notifica".

Alla caserma dei carabinieri a Melzi hanno lasciato il fascicolo: nell'elenco degli indagati c'erano altri sette nomi. Il suo era il secondo nell'elenco. "In caserma rimasi senza parole. Ho chiamato subito Giuliano Pisapia, il mio collega avvocato e amico".

Le accuse sono pesanti: "Soprattutto per chi come me ha portato avanti sempre battaglie contro la ‘ndrangheta e contro al mafia. Nel 2008 il pubblico ministero di Varese ipotizzò che io potessi essere addirittura il regista del clan".

"Nei vari interrogatori il pubblico ministero prendeva il mazzo di chiavi in mano e me lo metteva davanti dicendomi che se io non avessi rivelato tutto sulla cosca Ferrazzo avrebbe buttato le chiavi".

La vita in carcere da innocente

Sebbene Melzi fin da subito si era proclamato innocente, per lui si erano aperte le porte del carcere. "Quando mi portarono in cella venni accolto da tre persone: un signore anziano che era un ladro di professione, un tossicodipendente e un altro soggetto che invece, come me, era per la prima volta in carcere".

L'avvocato ha raccontato, anche in un suo libro, l'accoglienza che ha avuto in carcere fin da subito: "Appena sono arrivato mi fecero il caffè, mi hanno detto di non preoccuparmi e che avevano capito che non ero uno di loro. Per la prima volta mi sono trovato ad essere uno di loro, io che invece mi presentavo sempre in cella come legale dei detenuti". La vita in carcere era scandita solo da un'ora d'aria che "però non facevo neanche, perché non mi sentivo di scendere".

La solidarietà degli altri detenuti è stata incredibile. L'avvocato ha raccontato di una grande manifestazione di fraternità: "La prima volta che avevo il colloquio con i familiari trovai prima di uscire un sacchetto con dentro il thermos del caffè e i biscotti. Così che quando al colloquio mi sono presentato con il sacchetto è stato un sollievo anche per i familiari".

La scarcerazione

Finalmente dopo mesi è arrivato il provvedimento di scarcerazione: "È stata "radio carcere" a comunicare per prima il mio provvedimento di scarcerazione. Poi c'è stato un boato e la guardia è venuta a portarmi il provvedimento. Tutti gli altri detenuti sono venuti per salutarmi e festeggiarmi. Mi aiutarono a radunare tutte le mie cose. Fuori intanto la mia famiglia che mi stava aspettando stava iniziando anche a preoccuparsi perché ci stavo mettendo tanto. Ma stavo salutando tutti: in quel momento ho provato una sensazione incredibile".

Il ritorno in Tribunale da avvocato

Seppur libero, Melzi è restato sospeso dall'Ordine degli avvocati fino al 2011. Nel gennaio 2009 il procedimento è stato trasferito in Sardegna per competenza territoriale dal momento che si pensava il denaro proventi illeciti fosse stato reinvestito in operazioni immobiliari. Le indagini ripartirono da capo e durarono sette anni: "Non seppi nulla di nulla. Non sono mai stati interrogato". Poi a un certo punto archiviarono tutto: "Ma io venni a conoscenza di questa archiviazione solo un anno e mezzo dopo".

Dopo anni di indagini nei confronti dell'avvocato cadono le accuse. Si accerto che Melzi non solo non è mai stato un "professionista della ‘ndrangheta" che ha favorito la cosca, ma non aveva mai neanche sentito parlare del clan Ferrazzo. La Procura nel 2016 ha chiesto l'archiviazione per tutti gli indagati, compreso quindi l'avvocato milanese. Archiviazione successivamente accolta: non è mai stato commesso il reato di riciclaggio. Il denaro di proventi illeciti non è mai stati reinvestito in operazioni immobiliari, come si pensava in un primo momento.

Finita la sospensione dall'Ordine, Melzi ha ripreso in mano la sua vita: "Mi sono riadattato immediatamente, anche perché sapevo di essere vittima di un’ingiustizia. Non avevo nulla da rimproverarmi. Ho ricominciato da zero, prima avevo uno studio con venti persone. Ho ritrovato i miei amici e i miei vecchi clienti. Mi hanno aspettato".

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