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“Alessia Pifferi non riesce a collocare gli eventi nel tempo”: cosa dicono le relazioni delle psicologhe

“Emotivamente distrutta. Piange in modo sofferto riuscendo finalmente a esprimere tutto il suo dolore”, scriveva una delle due psicologhe, accusate di favoreggiamento e falso ideologico, su Alessia Pifferi in carcere perché ha lasciato morire di stenti la figlia Diana.
A cura di Ilaria Quattrone
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Le psicologhe Paola Guerzoni e Letizia Marazzi, dipendenti dell'azienda ospedaliera Santi Paolo e Carlo e in servizio alla casa circondariale di San Vittore a Milano, sono indagate per favoreggiamento e falso ideologico nel caso di Alessia Pifferi, in carcere con l'accusa di aver lasciato morire di stenti la figlia Diana. Oltre loro, c'è anche la legale Alessia Pontenani accusata solo di falso ideologico.

La relazione su Alessia Pifferi al momento dell'ingresso in carcere

La prima relazione delle due professioniste risale al 21 luglio 2022, quando la donna è entrata in carcere. Si tratta di una valutazione di ingresso che viene svolta su tutti i detenuti: "La signora esordisce dicendo di "avere fatto una cosa che non doveva fare". Si commuove e racconta di avere lasciato la figlia di un anno a casa da sola per una settimana per recarsi dal compagno", rivela il quotidiano Il Corriere della Sera. Il documento è firmato dalla dottoressa Guerzoni.

"La donna appare molto gentile e dolce con la scrivente (e con l’educatrice presente al colloquio) ma non trasmette particolare emotività e affettività verso la vittima e nemmeno verso le persone di cui parla (madre, sorella, compagno), come se ci fosse una “barriera” tra pensiero lucido ed emotività al momento in deciso controllo", prosegue.

La relazione su Pifferi che rileva "una nebbia cognitiva"

In un'altra relazione, firmata il 2 novembre 2022, hanno scritto invece che la donna era arrivata a colloquio "emotivamente distrutta. Piange in modo sofferto riuscendo finalmente a esprimere tutto il suo dolore". Hanno poi spiegato che aveva continui "flashback sulla bambina" e sulla "grave malattia del padre". Si legge ancora: "Sembra essersi riattivata la sofferenza per il lutto paterno che si somma a quella per la mancanza della figlia".

"Continuano gli incubi notturni in cui vede uomini incappucciati che portano il feretro del padre ma che vengono a prendere anche lei. Ha perso vitalità e motivazione alla vita, isolata affettivamente, sola e senza prospettive le mancano le forze per reagire e ad oggi anche per prendersi cura di sé".

E prosegue: "Le è difficile anche solo collocare gli eventi in una sequenza temporale corretta, pare a momenti avvolta in una nebbia cognitiva. Molto scossa per la recente nuova imputazione che non riconosce come possibile". Le psicologhe sostengono: "I reati contestati potrebbero quindi essere la conseguenza del desiderio di costruirsi una vita familiare stabile e questo modo trasognato di vedere la realtà l’avrebbe portata a non essere lucida e consapevole della gravità delle proprie azioni".

Ritengono poi: "Quanto descritto finora, insieme al dato che la stessa paziente ha fornito in un precedente colloquio di avere avuto l’insegnante di sostegno alle elementari “perché più lenta degli altri bambini”, fa ipotizzare un possibile deficit cognitivo che sommato a qualche possibile trauma emotivo risalente alla prima infanzia ne limita le risorse cognitive, soprattutto in termini di problem solving e di capacità metacognitive e di coping".

Da qui nasce poi la volontà di sottoporla a un test sulle facoltà cognitive.

Il test Wais svolto su Alessia Pifferi

L'accusa del pubblico ministero Francesco De Tommasi ruota attorno al test Wais, al quale le due professioniste avrebbero sottoposto Pifferi. L'esame avrebbe attestato un deficit cognitivo. Ci sarebbero poi anche alcuni colloqui che, secondo il magistrato, sarebbero "falsamente annotati nel diario clinico, con riferimento ai presupposti del monitoraggio a cui la Pifferi veniva sottoposta, in realtà inesistenti giacché la donna non era un soggetto a rischio di atti anticonservativi e si presentava lucida, orientata nel tempo e nello spazio, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali e determinata".

E proprio sulla base dei risultati ottenuti dalle relazioni, Pontenani ha poi chiesto e ottenuto una perizia psichiatrica. 

Sotto accusa anche il tipo di attività svolta dalle due psicologhe che le avrebbero definita "contrariamente al vero, di assistenza psicologica in favore della detenuta (che per le ragioni suddette non ne aveva bisogno) ma invero consistite nel discutere del procedimento penale".

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