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Opinioni

La vera storia del referendum per uscire dall’euro del M5s, da priorità a “extrema ratio”

“Se dovessimo arrivare al referendum, che per me è l’extrema ratio, perché io voglio prima andare ai tavoli europei e cambiare una serie di regole, è chiaro che io sarei per l’uscita perché è chiaro che l’Europa non ci avrà ascoltato su nulla”. Così Di Maio ha spiegato la sua posizione sulla questione del “referendum per l’uscita dall’euro”. Non chiarendo nulla, in realtà, e dimenticando che il referendum per l’uscita dall’euro il MoVimento 5 Stelle lo ha già proposto.
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Hanno destato polemiche le dichiarazioni di Luigi Di Maio circa la sua volontà di votare Sì a un eventuale referendum per l’uscita dell’Italia dall’euro. Il tema è stato immediatamente fagocitato dalla campagna elettorale, con le repliche degli altri leader politici e una serie di retroscena e analisi tese a prefigurare gli scenari futuri nel caso di una eventuale vittoria del MoVimento 5 Stelle alle prossime elezioni politiche. Il punto è chiarire se Di Maio abbia detto qualcosa di nuovo, o se si sia limitato a rivelare il suo voto nel caso di un eventuale referendum, probabilmente per evitare di trovarsi nella stessa situazione in cui si è trovata l’ex capogruppo Castelli in diretta su La7.

La cosa singolare è che tra le accuse mosse a Di Maio manca l’unica con un reale fondamento: ovvero l’aver parlato del referendum come extrema ratio, quando invece è stato (è?) uno dei punti fermi della proposta politica del MoVimento 5 Stelle. La linea del MoVimento 5 Stelle sul referendum per l’uscita dall’euro era sempre stata chiara, in effetti, e le parole del suo candidato premier rappresentano un piccolo scostamento, da non sottovalutare. Non bisogna dimenticare, infatti, che il Movimento 5 Stelle ha già portato avanti una lunga e complessa battaglia per ottenere, già in questa legislatura, che il Parlamento desse il via libera per un referendum consultivo sull’uscita dall’euro.

Era l’8 giugno del 2015 quando il M5s depositava in Senato le circa 200mila firme raccolte a sostegno di una legge di iniziativa popolare per il referendum consultivo sull’euro, la cui presentazione in Cassazione era avvenuta a novembre dell'anno prima. Grillo stesso aveva spiegato quale fosse il piano per arrivarci, spingendosi addirittura ad azzardare una data: “La legge costituzionale per indire il referendum sarà presentata agli italiani sotto forma di legge di iniziativa popolare. Per poterla depositare in Parlamento è necessario raccogliere almeno 50.000 firme in sei mesi. Una volta depositata, presumibilmente a maggio 2015, i portavoce del M5S alla Camera e al Senato si faranno carico di presentarla in Parlamento per la discussione in Aula. Approvata la legge costituzionale ad hoc che indice il referendum, considerando i tempi di passaggio tra le due Camere, a dicembre 2015 gli italiani potranno andare alle urne ed esprimere la loro volontà sull'uscita dall'euro con il referendum consultivo”. In pratica, Grillo voleva che le firme portassero all'approvazione della legge costituzionale per indire un referendum di indirizzo, sul modello di quanto fatto con la legge dell'aprile del 1989 (la Costituzione impedisce che siano autorizzati referendum per "le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali", mentre non contempla referendum consultivi); la palla sarebbe poi passata agli italiani, che si sarebbero espressi per dare un mandato chiaro al Governo.

Come vi avevamo già spiegato, in quel momento si trattava poco meno di una boutade, per una serie di ragioni:

In primo luogo, stante la vigente normativa, il Parlamento non è obbligato a discutere una legge di iniziativa popolare. I parlamentari del M5S si sono ripromessi di "vigilare e fare pressioni" affinché le Aule esaminino la proposta, contando anche sulla forza d'urto di milioni di firme, ma non c'è alcun tipo di garanzia. Men che mai sulle tempistiche: pensare a tempi ultrarapidi con la discussione della proposta in Parlamento entro maggio 2015 e l'approvazione entro dicembre è pura utopia […] Infatti, come ci ha spiegato l’avvocato Giuseppe Palma, “il progetto di revisione della Costituzione deve necessariamente seguire la procedura “aggravata” tipizzata dall’art. 138 Cost., la quale non prevede soltanto due votazioni da parte di entrambi i rami del Parlamento intervallate da un periodo di almeno tre mesi l’una dall’altra, ma detta addirittura – e giustamente – delle maggioranze diverse (c.d. rafforzate) rispetto a quella semplice occorrente per l’approvazione di una legge di rango ordinario”. […] Infine, anche ammettendo che si arrivi al referendum di indirizzo, e ammettendo che gli italiani si esprimano per l'abbandono della moneta unica, il Parlamento potrebbe tranquillamente ignorare tale risultato. Da un punto di vista legislativo, infatti, non ci sono obblighi […]

L’ostacolo più grande era però rappresentato dalla composizione del Parlamento, considerando appunto che, per una legge di questo tipo, la “seconda approvazione” in ognuna delle Camere deve avvenire a maggioranza assoluta (o addirittura con i 2 / 3 di ciascuna Camera nel caso si voglia evitare il referendum confermativo). Nell'attuale legislatura le condizioni per una simile maggioranza non ci sono, ma il quadro potrebbe cambiare dopo le prossime politiche.

Dunque, la domanda da fare a Di Maio sarebbe: nel caso in cui vinceste le elezioni, sosterrete nuovamente il percorso per l'uscita dell'Italia dall'euro, che passa anche per il referendum consultivo? Non si capisce, infatti, perché una richiesta fatta da forza di opposizione non debba rientrare tra le proposte di Governo, a meno di un cambiamento radicale della linea sulla questione della moneta unica.

Se dovessimo arrivare al referendum, che per me è l’extrema ratio, perché io voglio prima andare ai tavoli europei e cambiare una serie di regole, è chiaro che io sarei per l’uscita perché è chiaro che l’Europa non ci avrà ascoltato su nulla. Però voglio precisare una cosa, io vedo delle grandi opportunità in Europa in questo momento”. Queste parole di Di Maio, giudicate "chiarissime" dalla conduttrice e dai militanti del M5s, in realtà potrebbero anche essere interpretate come un cambio di paradigma da parte del MoVimento: dalla necessità di "consultare gli italiani" per decidere se muovere passi in direzione dell'uscita dall'euro, al referendum solo come extrema ratio, subordinato dunque a (poco chiari, per la verità) tentativi di negoziare la posizione italiana all'interno della Ue.

Il punto non è (o meglio, non solo) capire se il M5s vuole uscire dall'euro o meno (solo lo scorso gennaio Grillo spiegava di considerarlo prioritario, qualche mese dopo nel presentare le votazioni per il programma si suggeriva maggiore cautela). Se volesse uscire dall'euro basterebbe presentarsi agli elettori, inserendolo fra le priorità in caso di vittoria elettorale, per ottenere un mandato chiaro. Il punto è capire se il M5s ha intenzione di chiedere agli italiani se vogliono uscire dall'euro o meno per il tramite del referendum. O se sia cambiato qualcosa e, dunque, la mobilitazione del 2014 / 2015 vada archiviata fra gli errori del M5s.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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