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Opinioni

Italiani: un tempo benestanti, ora “nuovi poveri”

Sempre più spesso accade di conoscere storie di persone un tempo benestanti che dopo aver tagliato i consumi ora intaccano il patrimonio accumulato. Per evitare simili circostanze, alcuni consigli su come agire…
A cura di Luca Spoldi
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I “nuovi poveri” sono gli italiani un tempo considerati benestanti. Piccoli imprenditori, proprietari di immobili, liberi professionisti: in generale tutti coloro che un tempo potevano godere su rendite certe, spesso protette dalla legge (come nel caso delle “libere professioni” tutelate da Albi e le cui prestazioni erano e in molti casi ancora sono rese necessarie dalla legislazione vigente, si pensi ai notai o agli avvocati) o perché si trattava di spese indispensabili (come nel caso di medici e dentisti, piuttosto che, banalmente, di idraulici e carpentieri). Costoro nel corso dei decenni hanno spesso accumulato piccole e grandi fortune investite in immobili, terreni, gioielli, metalli preziosi e titoli di stato. Asset il cui valore intrinseco, si diceva un tempo, è stabile nel tempo e che dunque fungono da ideali “beni rifugio” in cui investire il proprio patrimonio.

Ma quasi un ventennio di assenza di crescita e graduale ma costante aumento del carico fiscale, ormai a livelli insostenibili per chi non possa (per volontà o necessità) essere un evesore/elusore d’imposta, coniugato con un altrettanto strisciante ma sensibile, sui tempi medio-lunghi, aumento dei prezzi al consumo (anche detta inflazione), hanno finito con l’erodere i patrimoni di costoro che un tempo rappresentavano la parte “alta” (quanto meno in termini di tenore di vita) della classe media. Così ora sempre più spesso ad essere intaccati, oltre ai consumi, rimodulati verso il basso, sono proprio i patrimoni, come possono testimoniarvi tanti direttori di banche o uffici postali che vedono anno dopo anno clienti “storici” smettere di accumulare capitali e iniziare a intaccare, semmai, i propri depositi.

Accanto ai problemi legati alla mala gestione pubblica (che ha dilatato la spesa e con essa la necessità di prelievo fiscale, senza dare al paese quella crescita e quella continua innovazione che resta indispensabile per non perdere competitività in un’economia aperta come quella moderna), anche alcuni errori “culturali” dei singoli hanno contribuito a questo depauperamento, ad esempio la scarsa educazione finanziaria che ha portato molti a rimanere ancorati ai titoli di stato a breve o brevissima scadenza senza capire che rinunciare anno per anno a 2-3 punti percentuali o più in cambio di una presunta maggiore sicurezza voleva solo dire, alla lunga, non riuscire neppure a mantenere costante il valore reale, al netto dell’inflazione, dei propri risparmi. La cattiva gestione del passaggio da lira ad euro (con prezzi che in pochi mesi sono quasi raddoppiati prima di andare incontro a una lunga fase di crescita modesta se non nulla a seguito della crisi della domanda interna) ha completato un quadro a dir poco sconfortante per i più.

Che fare ora? Andare sull’azionario è una scelta che promette di essere pagante anche nei prossimi decenni, a patto di badare all’asset allocation più che alla selezione titoli: in soldoni dovrete puntare i vostri risparmi sui giusti mercati e nelle giuste proporzioni (privilegiate l’Asia, privilegiate gli Stati Uniti, state prudenti in Europa e riservate all’Italia una percentuale residuale dei vostri risparmi). Quanto all’obbligazionario, i tassi sono molto modesti al momento e la sensazione (più volte ribadita da ambo le parti dell’Atlantico, per non dire in Giappone col varo della “Abeconomics” di cui già vi ho parlato) è che lo resteranno a lungo, per rialzarsi (con conseguente e direttamente proporzionale calo delle quotazioni per i titoli a reddito fisso) solo quando la ripresa sarà sufficientemente robusta paese per paese (il che negli Usa equivale a dire finché l’inflazione starà sotto il 2,5% all’anno e finchè la disoccupazione non scenderà sotto il 6,5%, per l’Europa più attenta ai prezzi al consumo finchè l’inflazione non risalirà almeno al 2% all’anno e la disoccupazione non inizierà a declinare dai picchi attuali).

Attenti anche al “timing”: soprattutto se vorrete (e fareste meglio a considerare la possibilità) investire parte dei vostri risparmi su strumenti finanziari dei “mercati emergenti” (dalla Cina al Brasile, dalla Russia all’India o al Sud Africa) fareste bene ad attendere momenti in cui la crescita è già rallentata e semmai si sta cercando di riavviarla, per poi prendere profitto ogni volta che le economie di questi paesi inizieranno a correre troppo portando al rischio di fiammate inflazionistiche. Che gli anni a venire siano del resto destinati a essere più Asia-centrici che Euro-centrici o America-centrici è nelle cose: solo oggi un report della banca d’affari svizzera Julius Bear ha segnalato come “continuano a crescere le prove che il motore della crescita dell’Asia e della creazione di ricchezza si è separato da quelli delle economie mature, e vi sono in particolari chiare indicazioni che la Cina sta salendo lungo la catena del valore”. Per questo gli esperti di Julius Baer in un report suggeriscono che il numero di “Hnwi” (High net worth individual, individui ad elevato reddito netto, ndr) potrebbero crescere in Asia dal livello stimato di 2,17 milioni nel 2013 “fino almeno a 2,82 milioni nel 2015”, Giappone escluso.

Un trend che sarà difficile possa essere eguagliato dall’Europa o persino dagli Usa: sappiate trarre consiglio da queste considerazioni e nel caso fatevi assistere da consulenti indipendenti per la ripartizione ottimale dei vostri investimenti. E se già ora siete tra i “nuovi poveri”? Dovete sperare che l’economia riparta, tornando a far crescere il reddito disponibile e smettendo di erodere i patrimoni. Cosa al momento non molto probabile, a breve, né in Italia né in Europa. Ma mai dire mai, perché di energie fresche e voglia di fare persino l’Italia resta piena, come testimonia il successo della “chiamata” di Kublai ai progettisti italiani per l’award che a luglio offrirà 5 mila euro al migliore tra 600 progetti presentati, da spendersi in accordo col Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica. Una goccia nell’oceano, ma pur sempre un segnale di vitalità che sarebbe un peccato andasse sprecato per gli interessi di parte di questo o quel partito, di questa o quella lobby.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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