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Condanna dell’UE a Israele per i nuovi insediamenti in Palestina

L’amministrazione comunale di Gerusalemme ha approvato – violando numerose convenzioni internazionali – la costruzione di 558 case negli insediamenti illegali di Gerusalemme Est. Catherine Ashton – alto rappresentante per gli affari esteri dell’UE – ha dichiarato: “Sono profondamente preoccupata. I colloqui di pace così rischiano di saltare”.
A cura di Davide Falcioni
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Il consiglio comunale di Gerusalemme ha approvato in via definitiva il piano per la costruzione di 558 nuove abitazioni negli insediamenti ebraici di Gerusalemme Est. Le case verranno costruite in un territorio occupato e – secondo il diritto internazionale – l'operazione è del tutto illegale e viola numerose convenzioni internazionali e raccomandazioni da parte delle Nazioni Unite. I permessi a costruire sono stati rilasciati nei quartieri di Har Homa, Neve Yaakov e Pisgat Zeev e – secondo le autorità palestinesi – la decisione rischia di compromettere i già fragilissimi colloqui di pace ripresi nel mese di luglio con l'intermediazione degli Stati Uniti. Hanan Ashrawi, un funzionario palestinese, ha detto: "Israele provoca deliberatamente i palestinesi per spingerli ad abbandonare i negoziati di pace in segno di protesta e successivamente attribuire a loro la responsabilità del fallimento". A dare man forte ai palestinesi è però anche l'Unione Europea. Catherine Ashton – alto rappresentante per gli affari esteri dell'UE – ha dichiarato: "Sono profondamente preoccupata per l'annuncio delle autorità municipali di Gerusalemme di costruire 558 nuove unità abitative a Gerusalemme Est". La diplomatica britannica ha aggiunto che "questo piano mette a rischio la prospettiva di Gerusalemme di diventare capitale di due stati e in particolare la contiguità territoriale tra Gerusalemme Est e la Cisgiordania meridionale". Ashton ha concluso ribadendo che l'Unione Europea e la Comunità internazionale "hanno ripetutamente avvertito che qualsiasi azione unilaterale minaccia i negoziati di pace in corso e di conseguenza la soluzione dei due Stati. Tutto ciò deve essere evitato a ogni costo".

Il 31 gennaio scorso l’Onu aveva dichiarato in un dossier che "Israele deve cessare tutte le attività di insediamento senza precondizioni e deve immediatamente avviare un processo di ritiro di tutti i coloni". Sono infatti 250 gli insediamenti in Cisgiordania e ben 520.000 i coloni che, sempre secondo il rapporto, ostacolano "l’accesso dei palestinesi alle risorse idriche e ai terreni agricoli. [Gli insediamenti] portano ad un’annessione strisciante delle terre ed impediscono la formazione di uno stato palestinese contiguo e vitale". La sentenza dell’Onu, dunque, recitava testualmente: "In conformità con l’articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra Israele deve porre fine a tutte le attività di insediamento senza precondizioni".

Ciò non bastò: dopo appena 8 mesi il governo israeliano ordinò la costruzione di altri 1.200 appartamenti nei territori occupati. Poi, pochi giorni fa, il nuovo via libera alla costruzione di 558 unità abitative.

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