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Perché adesso Donald Trump ha deciso di fare il cosplay: è la fine della “console war”

Un post della Casa Bianca trasforma il presidente USA in Master Chief per celebrare il remake della serie videoludica Halo su PlayStation 5. Tra ironia, cultura videoludica e propaganda digitale, la fine della console war diventa un messaggio politico.
A cura di Lorena Rao
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Donald Trump come Master Chief, il protagonista di Halo. Nel post realizzato con intelligenza artificiale dalla Casa Bianca, il presidente USA indossa la tipica armatura del super-soldato del Comando Spaziale delle Nazioni Unite. Sta facendo il saluto militare, mentre alle spalle sventola la bandiera a stelle e strisce. La didascalia recita “Power to the Players”, potere ai giocatori. Un modo eccentrico, com’è nello stile dell’attuale amministrazione, per sottolineare come Trump abbia contribuito a porre fine a una nuova guerra: la console war.

Il riferimento è all’annuncio del remake di Halo Combat Evolved, primo capitolo della serie sparatutto fantascientifica, in arrivo nel 2026 anche su PlayStation 5. Si tratta di una decisione epocale: Halo nasce nel 2001 come serie in esclusiva Microsoft, disponibile quindi solo sulle console Xbox. L’arrivo del remake su una piattaforma avversaria come PlayStation, rappresenta la fine di un’era. Cosa che è stata colta al balzo da GameStop, nota catena di rivenditori di videogiochi, attraverso un post in cui annuncia la fine della console war, poi sfruttato dalla Casa Bianca.

Cos'è la console war

Con l’espressione “console war” si intende la competizione commerciale tra i principali produttori di console da gioco — storicamente Nintendo, Sony e Microsoft — che si contendono quote di mercato attraverso i giochi in esclusiva e la fedeltà di giocatori e giocatrici. Il termine è diventato anche un fenomeno culturale, alimentato da community online e campagne pubblicitarie contrapposte. Di esempi ce ne sono moltissimi.

Una scena dello spot americano per Crash Bandicoot, in cui il marsupiale si apposta sotto gli uffici Nintendo per minacciare Mario.
Una scena dello spot americano per Crash Bandicoot, in cui il marsupiale si apposta sotto gli uffici Nintendo per minacciare Mario.

Citiamo lo spot televisivo statunitense del 1996 per Crash Bandicoot, titolo di punta della prima PlayStation, in cui un uomo vestito dal marsupiale poligonale minaccia col megafono Super Mario davanti agli uffici di Nintendo. Un altro caso risale al 2013, quando Microsoft presenta Xbox One con politiche impopolari, come l’obbligo di connessione a Internet e limitazioni sulla rivendita dei giochi fisici. Poche ore dopo, Sony risponde con un video ironico di 22 secondi intitolato “How to Share Games on PS4”, in cui due dirigenti mostrano come “condividere un gioco” semplicemente passandosi il disco.

Il video ironico di Sony per prendere in giro la comunicazione di Xbox One.
Il video ironico di Sony per prendere in giro la comunicazione di Xbox One.

Quel gesto, amplificato dai social, diventa virale e trasforma la comunicazione di PlayStation in un’arma strategica: in un solo tweet, Sony ribalta la percezione della nuova generazione di console, imponendosi come la “voce dei giocatori” contro l’immagine più aziendale di Xbox. A questo marketing aggressivo si aggiungono le esclusive – ad esempio, The Last of Us per PlayStation, Halo (fino al 2026) per Microsoft – che hanno creato vere e proprie tifoserie nella folta community di gamer.

Come nasce Halo

Nel 2001, Bill Gates mostra al mondo Xbox, la prima console di casa Microsoft pronta a stravolgere un settore dominato da Nintendo e PlayStation. Una risposta tutta americana al videogioco giapponese: console massiccia, di un verde scuro quasi nero, presentata da uno dei wrestler più popolari del periodo, The Rock. La vena machista emerge tuttavia con Halo, uno sparatutto in prima persona ambientato nello spazio, in cui l’umanità è messa sotto assedio dai Covenant, una specie aliena. Simbolo di questa lotta è Master Chief, un super-soldato la cui identità è avvolta nel mistero.

POLITICA E VIDEOGIOCHI | La presentazione di Xbox con Bill Gates e The Rock.
POLITICA E VIDEOGIOCHI | La presentazione di Xbox con Bill Gates e The Rock.

Halo Combat Evolved si rivela rivoluzionario. Sul fronte grafico-tecnico è strabiliante, soprattutto se paragonato alle prestazioni delle esclusive concorrenti. Non è tutto: il gioco porta per la prima volta su console il multiplayer online, prima possibile solo da computer. Ora i giocatori possono sfidare i propri amici direttamente dal proprio divano di casa e con la comodità di una console d’avanguardia. Pura utopia. Oggi la serie di Halo conta sei capitoli ufficiali – l’ultimo risalente al 2021 – più svariati spin-off, sempre in esclusiva Xbox.

Non è la prima volta che un franchise storico arriva su un’altra piattaforma. Quando, nel 2022, Microsoft ha acquisito Activision Blizzard per quasi 70 miliardi di dollari, non solo ha sancito l’acquisizione più grande della storia videoludica, ma il passaggio su Xbox di vecchie icone PlayStation quali Spyro the Dragon e il già citato Crash Bandicoot, passate sotto Activision agli inizi dei 2000.

L'incontro tra politica e cultura nerd

A rendere virale la questione di Halo è l'utilizzo della sua immagine da parte dell'amministrazione americana. Poco dopo il post del presidente in versione Master Chief, l’account ufficiale della Casa Bianca ha pubblicato un’altra immagine tratta ancora da Halo con la scritta “Distruggi il flusso. Unisciti all’ICE”. Una campagna per avvicinare giovani americani all’agenzia governativa per la sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione, spesso al centro della cronaca, soprattutto dopo i disordini a Los Angeles.

Quest’utimo post è stato definito “orribile” dai creatori di Halo. “Mi rende molto triste vedere Halo sfruttato in questo modo“, ha dichiarato il co-creatore della serie Marcus Lehto. “Usare immagini di Halo per incitare a ‘distruggere' persone a causa del loro status di immigrati è davvero troppo, e dovrebbe offendere ogni fan di Halo, indipendentemente dall’orientamento politico", ha aggiunto l’ex designer Jaime Griesemer. "Personalmente lo trovo ripugnante".

Quello tra propaganda e videogiochi è un connubio molto florido, specie negli Stati Uniti. Si parte da da America’s Army, un videogame sviluppato dall’esercito americano come campagna di arruolamento per l’invasione di Afghanistan (2001) e Iraq (2003), fino ad arrivare a Six Days in Falluja. Ancora più recente è il caso dei Pokémon usati sempre dalla Casa Bianca a favore dell’ICE che, come Ash Ketchum, deve catturare tutti gli immigrati clandestini.

Non è certo un’esclusiva di Trump quella di enfatizzare e normalizzare la propria retorica politica attraverso la cultura pop: il presidente Ronald Reagan, un altro outsider dell'establishment, lo aveva già capito negli anni Ottanta. Parlando dell’Unione Sovietica come l’Impero del Male di Star Wars o del pericolo di un attacco tecnologico come visto nel film Wargames, l’ex attore hollywoodiano aveva convinto l’opinione pubblica ad accrescere le spesa militare, soprattutto sul fronte degli armamenti atomici. Che sia Reagan o Trump, oggi è sempre più chiaro come videogiochi e simboli pop siano armi politiche di grande impatto, nascoste da memizzazione e viralità.

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