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Intelligenza artificiale (IA)

“Nessun lavoro è al sicuro con l’IA”: quali sono le cose che dovremmo tutti iniziare a studiare

Nella rivoluzione rischiano di esserci delle vittime sacrificali che non riescono a ricollocarsi nel mercato ma con l’adeguato livello di formazione l’IA potrebbe potrebbe migliorare la qualità del lavoro.
Intervista a Maurizio Del Conte
Professore ordinario di diritto del lavoro in Bocconi. 
A cura di Elisabetta Rosso
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Ci sono già le cassandre che preannunciano la disoccupazione di massa, e chi con toni entusiastici accoglie la nuova rivoluzione. Sono state pubblicate liste dei lavori che spariranno, percentuali di posti che saranno tagliati nel giro di qualche mese, storie di chi si è trovato licenziato per colpa di un chatbot. L'intelligenza artificiale cambierà il mondo del lavoro, lo sta già facendo. Ma, al di là delle profezie che oscillano tra scenari distopici e terre promesse, potrebbe essere un'occasione. Per provare a immaginare una prospettiva realistica abbiamo parlato con Maurizio del Conte Professore ordinario di diritto del lavoro presso l'Università Bocconi di Milano.

Partiamo facendo un quadro generale: che impatto avrà l’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro?

È evidente che questa tecnologia toccherà tutti i settori, naturalmente in alcuni casi assorbirà e renderà meno conveniente l’utilizzo delle persone. Si perderà lavoro complessivamente? Non credo, è uno strumento che eliminerà i lavori a basso valore aggiunto e potrebbe sviluppare invece i lavori a più alto valore aggiunto.

Si spieghi meglio.

Beh si potrebbe investire sui lavori meno routinari e quindi sulle competenze umae.

Ci sono però aziende che hanno già  licenziato i dipendenti per assumere i chatbot. E se anche si investisse sui lavori con valore aggiunto diminuirebbero comunque i posti di lavoro. 

È vero, ma si apriranno nuovi mercati. Il saldo complessivo dell’occupazione in realtà potrebbe crescere, perché tutte le volte che arriva una nuova rivoluzione tecnologica si aprono nuovi mercati.

Le rivoluzioni hanno sempre distrutto e creato nuovi posti di lavoro, in questo caso però non c’è il rischio che le persone non abbiano il tempo per acquisire le nuove competenze?

Questo è molto importante. È assolutamente vero che nelle fasi di transizione c’è un problema molto serio di perdita di posti di lavoro, e soprattutto di obsolescenza delle competenze, è stato così per esempio con il telaio meccanico. Il punto è che bisogna accompagnare queste fasi, se no si rischia di avere una massa di persone che nella transizione rimangono incastrate. Diventano le vittime sacrificali.

E chi rischia di essere la vittima sacrificale di questa rivoluzione?

In generale tutte le professioni routinarie, in modo trasversale. Non solo attività legate al mondo del digitale, ma impatterà su diversi settori, dall’amministrazione ai lavori creativi. Molto probabilmente sarà necessario cambiare il campo delle competenze. Ma tutto questo va accompagnato da un piano di formazione, che non può essere lasciato alla singola persona.

Per esempio?

Devono esserci specifici percorsi di reskilling per chi rischia di rimanere intrappolato, in modo che le persone vengano reindirizzate verso i settori emergenti.

Quali sono questi settori? 

Nel mondo dei servizi si creano sempre nuovi servizi. Ma pensiamo solo all’universo delle piattaforme. Poi non serve far parte del mondo stem per poter sfruttare i nuovi posti che verranno creati.

Ma se dovesse fare tre esempi di lavori che l’IA creerà?

Penso innanzitutto ai famosi creator, con un po’ di creatività e l’IA si possono fare cose straordinarie, poi ovviamente tutto il mondo legato alla gestione dell’intelligenza artificiale e dei dati, il filone della cybersecurity, e poi anche i lavori che ruotano intorno alla proprietà intellettuale, è un mondo che si sviluppa velocemente.

Sono però tutti lavori ad alta competenza. 

Assolutamente sì. E un tema che accompagna tutte le trasformazioni, a ogni rivoluzione aumentano le competenze richieste. Non ci possiamo più permettere, e questo è un problema italiano, quell’equilibrio sul mercato del lavoro basato sul basso livello di competenze.

Qui non sarà facile. 

Eh sarà una bella frustata. Noi abbiamo pensato di poterci collocare nella competizione globale nella fascia bassa, dove il costo del lavoro e il valore aggiunto sono bassi, e noi riusciamo a competere. In Europa questo non è più sostenibile. Abbiamo bisogno di un enorme sforzo nella formazione, cosa che abbiamo trascurato per decenni, per salvarci.

Ma io penso, una persona di 40 o 50 anni che svolge un ruolo a bassa competenza, sostituibile dall’IA, che fine fa?

Deve essere inserito in questi percorsi. La possibilità di riconversione c’è in tutti i campi, bisogna avere il coraggio di abbandonare il proprio percorso passato.

Al contrario invece, quali saranno i lavori “più al sicuro” dall’IA?

Nessuno. Nel senso tutti i lavori cambieranno. Bisognerà fare cose diverse e avere competenze diverse. È chiaro che se uno fa l’ingegnere informatico ha un patrimonio più spendibile,dove non si sa. Una volta un ingegnere informatico costruiva computer e faceva software, oggi te lo trovi nella casa di moda.

Parlavamo prima delle rivoluzioni industriali del passato, ecco ci sono delle differenze?

È una rivoluzione più pervasiva e trasversale, prima magari si toccava solo il settore tessile o il mondo dei servizi, questa è veramente una trasformazione che tocca tutti, un po’ come internet. Quindi bisogna accompagnare le persone, per non lasciare indietro nessuno.

A proposito, ci sono categorie più a rischio? Diversi studi hanno rilevato che le donne potrebbero essere penalizzate. 

Il punto è che in certi settori molto routinari c’è più presenza femminile, è evidente che quei settori verranno colpiti, e quindi le donne verranno penalizzate. Ma l’IA è uno strumento, al di là del genere.

Quindi non è tanto legato alla donna in quanto donna ma a una disparità che c’era da prima, e ora viene accentuata.

Purtroppo i lavori a maggior valore aggiunto ancora oggi sono in mano agli uomini. E visto che questi lavori sono quelli che non solo resistono sempre, ma anche che traggono maggior vantaggio dalle rivoluzioni tecnologiche si può dire che le donne saranno più facilmente sostituite.

Ecco, ma quindi c’è il rischio che aumentino ancora di più le disuguaglianze in generale, non solo di genere. Quindi che vengano premiati i lavoratori con più competenze e penalizzati chi ne ha poche. 

Sicuro. Purtroppo la forbice si accentua in tutte le crisi. I più fragili sono quelli che rischiano di più. Ripeto l’unica via è investire nella formazione. E soprattutto non si deve fare solo nelle aree più ricche del Paese.

Ma c’è il rischio che le aziende comincino ad assumere chatbot al posto degli umani per tagliare le spese? 

Prendiamo come esempio il mondo dei call center, la prima vera crisi fu negli anni 2000, e gli operatori dei call center sono diventati i nuovi schiavi, perché il loro lavoro valeva pochissimo. Mi chiedo quanto senso abbia tenere in piedi questi lavori.

Quindi l’IA potrebbe migliorare la qualità del lavoro. 

E certo, è un’occasione per crescere, per emanciparsi dai lavori poveri. Ma non finisce qui, perché c’è un altro problema.

Si spieghi meglio. 

L’IA come capo, ovvero la gestione algoritmica dei rapporti di lavoro. Non solo i rider, ci sono tante attività che vengono organizzate attraverso piattaforme.

Quindi è l’algoritmo a decidere per i dipendenti umani. 

Esatto, ha il potere decisionale, ed è anche in grado di fare un rating del lavoratore.

È anche una forma di controllo pervasivo. 

Sì, questa è una condizione di lavoro in cui sempre più persone si trovano. L’attività lavorativa viene gestita da un algoritmo di cui non si conoscono i segreti, perché è una black box, che potrebbe punirmi se non rispondo alle metriche calcolate dall’algoritmo. Anche questo sarà un fenomeno da regolare e rendere trasparente.

Ma l’idea di un reddito base universale generato dall'IA è un’idea così assurda?

Io non ci credo, perché l’uomo non sarebbe più indipendente e il lavoro non sarebbe una forma di realizzazione e inclusione sociale. È una profezia che fu fatta già negli anni ‘50, ma a me sembra una cosa un po’ da grande fratello 2.0, e poi dubito che le persone si accontenterebbero di un salario basso.

In Italia come bisogna prepararsi per affrontare bene questa rivoluzione?

Non bisogna farsi prendere dal panico, potrebbe dare a tutti nuove possibilità. Detto questo bisogna prepararsi. La prima cosa da fare è capire le competenze che saranno ancora richieste, cosa sta cambiando, e acquisire conoscenze che saranno richieste dal cambiamento. Per farlo, come già dicevo, serve la formazione. Non è una cosa inaspettata, non è il Covid, per capirci, se non si fa nulla è perché si è scelto di non fare nulla. Ogni campo avrà una sua evoluzione, bisogna farsi trovare pronti.

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