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“La carne in laboratorio non deve spaventarci. Alla fine è quasi come produrre una birra”

Dopo lo stop del governo abbiamo parlato con Nike Schiavo, biotecnologa di BrunoCell, la start up italiana che studia come produrre la carne coltivata.
Intervista a Nike Schiavo
Biotecnologa della start up BrunoCell
A cura di Elisabetta Rosso
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Nonostante le aziende stiano depositando brevetti, i laboratori lavorino a pieno regime, e siano passati dieci anni da quando il professor Mark Post dell'Università di Maastricht ha presentato a un evento sovraffollato per la prima volta un hamburger di carne coltivata, non siamo ancora pronti.

Il disegno di legge proposto dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, vuole allontanare la carne coltivata dai menù dei ristoranti e dagli scaffali dei negozi. I capi d’accusa per motivare la scelta non si basano esattamente su dati scientifici, così per capire meglio cos’è la carne coltivata e le sue prospettive sul mercato abbiamo parlato con Nike Schiavo, biotecnologa di Bruno Cell, una start up italiana di ricerca che studia la produzione della carne coltivata , “e non sintetica, che sembra qualcosa di chimico quando invece si tratta di un processo biologico”.

Come viene prodotta la carne coltivata?

Si parte sempre da un animale generalmente vivo, o da un taglio di carne fresca, si prende un campione, poi trattato in laboratorio per essere ottimizzato. Le cellule vengono cresciute in un fermentatore o bioreattore, funziona un po' come per la birra, e all’interno si fanno crescere e moltiplicare le cellule, quindi c’è una temperatura e un'ossigenazione controllata e c’è anche un liquido nutritivo chiamato terreno di coltura che contiene sostanze fondamentali per far crescere le cellule.

Che sostanze?

Ma altro non sono che proteine, carboidrati, grassi, vitamine, sali minerali. Poi queste cellule possono essere ulteriormente stimolate in modo da creare fibre muscolari.

Una domanda banale, ma serve per fare chiarezza: la differenza tra coltivata e vegetale?

La carne vegetale è fatta a partire da piante o vegetali, quella coltivata da cellule animali, che hanno una struttura diversa, c’è una differenza di fondo su come sono composte.

Quali sono i vantaggi della carne prodotta in laboratorio? 

Ci sono vantaggi ambientali, si risparmia acqua e suolo rispetto a un allevamento intensivo, non solo, nel processo della carne coltivata non si usano antibiotici a differenza degli allevamenti, e le cellule crescono in un ambiente molto controllato, inoltre si va anche a ridurre l’impatto sulla biodiversità dato che l’agricoltura cellulare richiede meno suolo e va inquinare meno.

Facciamo qualche esempio con i dati?

Sì, per quanto riguarda il risparmio di acqua è tra le 10 e le 20 volte in meno rispetto alla carne di manzo convenzionale, riduce di 7 volte il consumo di gas serra, di 10 volte quello del suolo, e per quanto riguarda la produzione di fosfati anche 35 volte in meno rispetto agli allevamenti.

I contro invece?

Diciamo che, in linea teorica, lo svantaggio principale può essere il consumo energetico, gli studi mostrano scenari differenti.

Sarebbe sempre minore rispetto al consumo degli allevamenti convenzionali?

Su questo gli studi non sono concordi. In realtà alcuni prevedono un consumo minore di energia, altri sono più cauti e pensano che i consumi cambino in base al tipo di carne. Banalmente il manzo consuma di più, il pollo meno, quindi la carne coltivata potrebbe consumare meno energia rispetto a un allevamento di bovini, e quasi la stessa di un allevamento di polli. Però manca un processo produttivo quindi sono solo predizioni. Rimangono tutti i vantaggi che abbiamo detto prima.

E invece dal punto di vista dei prezzi? Costa di più la carne coltivata.

Sì, però è una tecnologia in fase di ottimizzazione, basti pensare che il primo hamburger di carne coltivata presentato nel 2013 costava 290 mila euro, adesso si riesce a produrre una crocchetta di pollo anche a 35 euro.

Quando diventerà accessibile a tutti?

Ora è difficile da capire, ma McKinsey, azienda che fa previsioni in materia di economia e finanza, ha spiegato che entro il 2030 la carne coltivata potrebbe raggiungere la parità di costi con la carne convenzionale. Per ora ci sono dati promettenti.

A livello di gusto invece, cambia?

L’obiettivo fondamentale è raggiungere un profilo nutritivo e di gusto paragonabile a quelli tradizionali. Uno dei principali fattori a livello di gusto è la quantità di grassi presenti, e stanno già lavorando su questo. E comunque le aziende collaborano con chef rinomati per migliorare il sapore, ci sono dei dipartimenti che si occupano prorpio di renderla appetibile.

Tu l’hai mai assaggiata?

Mi piacerebbe tanto, purtroppo non hai avuto la possibilità, so che in Olanda stanno approvando una legge che permetterà di provarla, se è possibile, andrei volentieri per scoprire che gusto ha.

Ci saranno anche nella carne coltivata diversi livelli di qualità?

Non possiamo scriverlo su pietra, sicuramente però ci sono aziende diverse che forniranno prodotti diversi. Per ora stanno nascendo aziende che si specializzano su determinati tipi di carne, chi fa manzo, chi maiale, o pollo. Non c’è ancora una vera diversificazione a livello di qualità. In un futuro però si potranno ottenere diversi tipi di carne, anche a livello qualitativo.

Secondo alcuni critici c’è poca letteratura sul tema, è vero? Ne serve altra?

Il campo è nato negli anni ‘90, poi nel 2013 c’è stato il boom di finanziamenti per la ricerca, anche open access, quindi disponibile a tutti quanti, e questo tipo di analisi sta crescendo. Prima di allora gli studi erano portati avanti da aziende private che non avevano chiaramente interesse a divulgare i loro segreti. Quindi ne serve altra, sì, come sempre e la stiamo facendo.

L’introduzione della carne sintetica sul mercato cosa cambierebbe?

Già gli studi preliminari sui consumatori prevedono che la carne coltivata sarà acquistata da chi consuma carne abitualmente, quindi non vegetariani e vegani. Diciamo persone che non vogliono rinunciare alla carne ma sono attenti all’impatto ambientale.

Chi rischia di penalizzare o con chi entra in concorrenza?

Chi vuole mangiare la fiorentina non comprerà la carne coltivata. Andrà a fornire un’alternativa per quei tipi di carne meno particolari o pregiati, per esempio hamburger o nuggets di pollo. Va più che altro a fare concorrenza agli allevamenti intensivi della grande distribuzione. Non entrerà in conflitto con il prodotto di qualità del piccolo allevatore locale che va a rifornire una ristretta nicchia di mercato. E comunque a livello di produzione nei prossimi anni non riuscirà a mettere sul mercato così tanta carne coltivata da fare una concorrenza reale.

Sono state create polpette di mammut, quindi almeno dal punto di vista tecnico qualsiasi carne può essere riprodotta o creata in laboratorio. 

La tecnologia in teoria lo permette. C’è questa azienda in Australia che ha visioni molto futuristiche in materia di carne coltivata, c’è chi vuole creare anche prodotti ibridi, qualcosa di completamente nuovo, carni mai viste sul mercato. Però, al momento sono poche aziende, la maggior parte stanno lavorando per riprodurre la carne convenzionale.

Permettimi una provocazione, quindi si potrà creare anche carne umana?

Beh la tecnologia deriva da uno studio di ingegneria in ambito medico per riprodurre organi e tessuti umani. Nasce da qui. La tutela dal punto di vista alimentare è che non dovrebbe essere interessante per il pubblico mangiare carne umana.

In generale però serve una regolamentazione.

Sì, allora in Europa si stanno già occupando di capire come regolamentare il campo e studiare aspetti pericolosi o nocivi, e la Commissione europea poi leggendo i dati prodotti scriverà una regolamentazione. Sta succedendo anche negli Stati Uniti, in Giappone, e proprio oggi la Fao dovrebbe tenere un webinar dove spiega le ricerche fatte finora.

La scelta del governo Meloni rischia di bloccare la ricerca?

Il disegno di legge vuole vietare la commercializzazione e produzione, non parla di ricerca, ma darà un segnale a quegli investitori che vogliono portare avanti le ricerche sulla carne coltivata, non è una pubblicità positiva e questo potrebbe impattare sulla ricerca.

Questo causerà una fuga di cervelli?

Ci sono molti giovani in Italia interessati alla carne coltivata, e se non trovano terreno fertile saranno costretti ad andare via. Immagino che il blocco possa spingere un giovane ricercatore ad approcciarsi alla ricerca in altri Paesi.

I ministri di Agricoltura e Salute hanno detto di voler “tutelare la salute dei cittadini”. Il governo si sta basando su evidenze scientifiche, o no?

È difficile parlare di qualcosa che non è ancora sul mercato, il loro intervento preventivo si basa sulla mancanza di conoscenza. L’autorità europea sta facendo studi per valutare i rischi, perciò è abbastanza strano che il governo si sia messo davanti a un ente predisposto a valutare la qualità e i rischi di un prodotto.

Dicono anche che “i prodotti da laboratorio non garantiscono la qualità”, è vero?

Mancano ancora degli studi, si può dire qualsiasi cosa dato che non c’è al momento una base scientifica forte. Ma già solo il fatto che riduca gli antibiotici nella carne è indicativo, l’uso infatti rappresenta un problema di qualità per la carne prodotta negli allevamenti intensivi.

Potrebbero essere anche una soluzione “facile” a carestie e altre situazioni di crisi umanitaria?

Allora ci sono tesi che avvalorano questa prospettiva, è un problema però molto complesso, non si risolve con una sola soluzione. L’impatto maggiore che può avere la carne coltivata è andare a ridurre e limitare i danni ambientali. In questo momento l’impatto climatico è uno delle principali cause delle carestie, quindi sì, la carne coltivata aiuta. E potrebbe essere anche una risorsa per quei Paesi più poveri che hanno meno mezzi per rispondere alle emergenze.

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