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Il regno di Camilla Clemente, 20 anni e un brand da un milione di euro: “Tutto è iniziato su TikTok”

Camilla Clemente è la creatrice di A-More, un community brand nato su TikTok. A Fanpage.it ha spiegato cosa vuol dire fondare e gestire un’azienda partendo solo dai social.
A cura di Valerio Berra
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A-More. Da leggere in italiano: “Amore”. Per chi non dedica una buona porzione dei sui viaggi sui mezzi pubblici a scrollare video su TikTok, A-More è un brand di moda ed è anche una delle prime imprese che in Italia sono nate da quesa piattaforma. TikTok è un incubatore ottimo per quelli che vengono chiamati small business, piccole attività artigianali con una produzione ridotta e una distribuzione basata sull’e-commerce. Alcuni restano tali: si trovano artigiani che vendono anelli in legno, calzolai che personalizzano sneakers o ragazze che creano action figure personalizzate. Altri esplodono e diventano aziende strutturate, come è successo a Camilla Clemente.

Classe 2002, cresciuta a Novara, Camilla è la fondatrice di A-More e ora è anche la titolare (insieme al padre) di A-MORE SRL, società con cui gestisce un brand di moda con sei dipendenti che nel 2022 ha fatturato un milione di euro. Una startup, o community brand come lo definisce Camilla, che è nata praticamente a zero budget. Anzi. Il primo investimento è stato quello che potrebbe fare chiunque di noi. Prendere lo smartphone dalla tasca, avviare la camera e cominciare a registrare un video.

Questa sezione di Fanpage.it non si occupa di moda. Sarà un’intervista sui social.

Meglio, è la mia parte preferita. Sono parecchio nerd.

Ora il profilo di A-More ha quasi 400.000 follower. Quando hai deciso di aprirlo?

Maggio del 2020, nel pieno della pandemia. Ero negli Stati Uniti, in Colorado, dove stavo facendo il mio anno all’estero. Il Covid ha bloccato tutto il percorso, sono dovuta tornare a casa. Avevo un po’ di risentimento, negli Stati Uniti ho capito che c’era molto altro fuori dalla mia città e dai miei soliti dieci amici. Da qui ho deciso di mettermi a costruire il sito.

Nel maggio del 2020 TikTok Italia quasi non esisteva.

Vero, ma negli Stati Uniti era già qualcosa di diverso. Mi ricordo uno dei primi video che ho visto: c’era una ragazza in garage che vendeva ciglia finte e diceva di guadagnare fino a 30.000 dollari. Ho deciso di aprire anche io un profilo.

Avevi già un piano?

Mi ero fatta duemila piani. Volevo fare un brand fighissimo, immaginavo già shooting sulla costiera amalfitana. Ho iniziato a raccontare questo brand che mi ero immaginata con dei video, tutti in inglese. È stato parecchio cringe. Allora ho iniziato da capo e mi sono messa a costruire tutto con le persone che avevano iniziato a seguirmi. A partire dal logo, è così che A-More è diventato un community brand.

Cosa vuol dire?

Che l’utente si sente partecipe del progetto. Se faccio vedere le bozze per una felpa può commentarle, bocciarle oppure dare consigli su come sistemarla. E così per tutti gli altri passaggi del brand.

Quale è stato il primo capo che hai venduto?

Un foulard, ne ho prodotti 15 pezzi. Valanghe di critiche. C’è chi mi ha accusato dicendo che avevo gonfiato tantissimo il progetto e che poi il risultato era solo qualche fazzoletto. Lì c’è stata anche la prima divisione della community, fra chi mi sosteneva e chi passava dai video solo per le critiche.

Come hai fatto a trovare i fornitori?

Con la mancanza di consapevolezza che si può avere a 17 anni. Avevo trovato un produttore a Carpi, in provincia di Modena. Mi aveva proposto di comprare maglie dalla Turchia e poi attaccarci sopra Made in Italy. Me ne sono andata delusa e ho citofonato a una maglieria lì vicino, senza appuntamento. Questa volta ha funzionato. Poi i quantitativi sono aumentati, i capi sono diventati più complessi e ho iniziato a fare fatica a farmi ascoltare dalle aziende italiane. Ho spostato la produzione in Cina. Anche qui, valanga di critiche. Ora sto cercando di fare tutto con aziende italiane.

Come è cambiato TikTok in questi anni?

Io sono arrivata nel momento giusto. Su TikTok c’erano pochissimi creator. E poi ai tempi del lockdown le persone non avevano molto da fare e quindi passavano più tempo sui social. Adesso c’è più competizione. Io ho sempre cercato di tenere i miei profili solo per raccontare il brand, sto cercando di non diventare un’influencer e di mettere troppo della mia vita privata.

Negli Stati Uniti TikTok non se la sta passando benissimo. E se chiudesse?

Spero proprio di no. D questa piattaforma arriva il 90% delle mie vendite. Credo però che la mia community sia abbastanza forte da seguirmi anche su altre piattaforme.

Da due anni A-More è diventato anche un’azienda.

Sì, ora ci sono sei dipendenti e altri collaboratori.

Fatturato?

Per adesso stabili, un milione di euro all’anno negli ultimi due anni. Poi, lo dico sempre, questi non sono tutti soldi che guadagno.

Per un creator non è semplice confrontarsi con la burocrazia in Italia. Tu come hai fatto?

Io non ne sapevo assolutamente nulla. Mi hanno aiutato prima di tutto i miei genitori, loro non sono imprenditori ma mi hanno spiegato tutti i passaggi da fare per aprire una partita Iva. E poi ho incontrato Massimiliano Allievi, il mio commercialista. Ora anche lui è diventato un tiktoker.

Studi ancora?

Sì, da Novara mi sono spostata a Milano. Qui sono iscritta a Economics and Management all'Università Cattolica.

In questi giorni hai aperto anche il tuo shop nel Metaverso.

Ho una community sparsa per l’Italia. È bello avere un posto dove incontrarsi e vedere insieme i vestiti. Non so se questo diventerà lo shopping del futuro ma per adesso è un’ottima piattaforma su cui fare comunicazione.

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