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L’analisi dei pediatri italiani su Instagram e TikTok: “Favoriscono la depressione nei minori”

Lo studio della Società Italiana di Pediatria mostra quanto i social possano diventare pericosi per i ragazzi, al momento manca un’educazione culturale.
A cura di Elisabetta Rosso
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“Nello studio di un pediatra, oggi, si deve parlare di social network. Fanno parte della nostra quotidianità e manca consapevolezza sui rischi che i più giovani corrono”. A parlare è la dottoressa Elena Scarpato che ha partecipato allo studio della Sip (Società Italiana di Pediatria). Hanno analizzato 68 lavori scientifici condotti dal 2004 al 2022 per indagare sui potenziali problemi associati all’esposizione dei minori ai social media. "Sono tantissimi". E il primo tra tutti la depressione da social.

“Abbiamo trovato una correlazione nel 27% degli studi. Non è chiaro se sono i social a innescare stati depressivi o se chi soffre sceglie di rifugiarsi su Instagram o su TikTok”, spiega Scarpato. In ogni caso si innesca un circolo vizioso. C’è però un’associazione diretta: “Vengono a mancare i contatti diretti, faccia a faccia, quelli che tutelano i più giovani dagli stati depressivi”. Più tempo i ragazzi trascorrono scrollando i loro feed, più sono alti i livelli di depressione segnalati, un fenomeno che si riscontra in ogni regione geografica, dalla Svezia all’Egitto, come spiega lo studio.

Tra cibo spazzatura e messaggi pro-anoressia

Non solo. “C’è poi tutto l’universo dei disturbi alimentari. Sia in eccesso sia in difetto”, sottolinea Scarpato. Pubblicità di cibo spazzatura, bevande zuccherine, da un lato, messaggi pro anoressia dall’altro. “Per esempio le challenge tra ragazze per diminuire lo spazio tra le gambe, o gruppi dove consigliano diete squilibrate, o indicazioni su come perdere peso”, e poi il clichè dei social network, la frustrante rincorsa a modelli irraggiungibili. “Il 30% delle ragazze non pubblicano foto se non sono ritoccate, e questo sfocia anche nel dismorfismo corporeo” ovvero l’eccessiva e persistente preoccupazione per alcuni difetti fisici.

La sessualità rovinata sui social

Nello studio viene anche messo in risalto il rischio a un’esposizione sessuale non sicura che potrebbe provocare danni pesanti sui più giovani. “Qua è necessario fare una distinzione, perché c’è il rischio che i ragazzini vengano adescati da persone che vogliono approfittarsi di loro”, per esempio adulti che chiedono foto intime, ma anche il fenomeno del revenge porn. “C’è l’ulteriore problema dell’esposizione a materiale sessuale on line”, che può spuntare nei pop up, o sui video social che bypassano le regole di moderazione. A volte basta sostituire un numero al posto di una lettera per aggirare l'algoritmo e pubblicare immagini sessualmente esplicite. “Un minore che prematuramente si ritrova davanti a foto del genere, che non può ancora capire e interiorizzare, potrebbe sviluppare dei gravi problemi neuropsichiatrici”, avverte Scarpato.

Le differenze tra Instagram e TikTok

I social più pericolosi sono, quasi per forza, quelli più utilizzati: Instagram e Tiktok. Che però agiscono con dinamiche differenti, dinamiche che riflettono la loro architettura. “Su TikTok è molto più semplice trovare messaggi promozionali concentrati in brevi video, o challenge dannose, divulgazione di pratiche malsane”, trend che diventano virali e veicolano messaggi potenzialmente pericolosi. “Su Instagram, invece, funziona molto di più il modello delle o degli influencer, quindi persone che, oltre a diventare modelli irraggiungibili, come dicevamo prima, danno consigli, mettono in mostra stili di vita, diete, che potrebbero essere rischiosi”.

Come tutelare i più giovani

Ci sono dei problemi ma anche delle soluzioni. “Per prima cosa le campagne di divulgazione, bisogna responsabilizzare i genitori per quanto riguarda i più piccoli e poi parlare direttamente con i ragazzi, quello è fondamentale, come spiegavo ormai dentro lo studio di un pediatra non si può non parlare di social”, spiega Scarpato. In più è necessario educare, impostare un limite orario, mettere dei filtri che tutelino i ragazzi, e in generale non far iscrivere i minori di 13 anni sui social. “Noi con altre associazioni abbiamo avviato uno studio pilota per valutare quanta consapevolezza hanno i genitori sul web, spesso sono loro a iscrivere i loro figli, sempre alla ricerca di una sovraesposizione, e manca al momento un’educazione culturale forte”.

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