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Intelligenza artificiale (IA)

Ho ascoltato la canzone dell’IA prima in classifica: qualcosa è cambiato per sempre

La musica artificiale scala le classifiche ma la vera rivoluzione è già avvenut: tutto è iniziato quando abbiamo imparato ad ascoltare senza sentire.
A cura di Elisabetta Rosso
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Una volta un produttore mi disse che ci sono dei metodi per creare una "canzone che spacca". Ci sono moduli, A-B-A-B, progressioni di accordi, escamotage, suoni familiari, hook. Insomma una lista di ingredienti che se assemblati in un determinato modo creano la hit. "Non parliamo di anima, quella si perde", mi disse, la cosa importante era spingere l'utente a cliccare di nuovo su play una volta finita la canzone. Riprodurla quando basta per gonfiare gli ascolti e poi dimenticarsela. Insomma un capitalismo della musica dove le canzoni diventano prodotti seriali, roba da usa e getta.

Questo discorso, fatto ormai qualche anno fa, mi è tornato in mente quando ho ascoltato Walk My Walk dei i Breaking Rust. Il gruppo non esiste, la canzone è realizzata con l'intelligenza artificiale, e ha raggiunto il primo posto nella classifica Country Digital Song Sales di Billboard negli Stati Uniti. Breaking Rust ha publicato anche altri brani. Li ho ascoltati. Parlano di fango sui jeans, delle forza che serve per rialzasi, in mezzo ci sono cliché musicali e produzioni che funzionano. Non sono brutti, non sono belli. Sono piatti, innocui, insipidi. Scivolano oltre i timpani e finiscono chissà dove. 

Il successo inquietante della musica generata dall’IA

Nonostante (o forse grazie a) queste caratteristiche, Breaking Rust è diventato un fenomeno su Spotify, risulta addirittura come “artista verificato”, con oltre due milioni di ascoltatori mensili e singoli che superano il milione di stream. L’unico elemento umano del progetto è però l'autore accreditato, Aubierre Rivaldo Taylor, un creator che sperimenta da tempo con la generazione musicale automatizzata.

Il caso Breaking Rust non è isolato. A inizio 2025 è sono diventate virali le canzoni di una band “indie” chiamata The Velvet Sundown, anche in questo caso un progetto sintetico che ha colonizzato Spotify. Non solo, Billboard ha confermato che, per quattro settimane consecutive, almeno un artista assistito da IA è entrato in classifica. È un segnale chiaro: la musica generata da algoritmi non è più un esperimento marginale, ma un settore in espansione che attira ormai l’interesse delle major. Universal Music Group, per esempio, ha firmato nel 2025 un accordo di licenza con Udio, una piattaforma che consente la creazione di brani musicali tramite IA generativa.

La musica artificiale è iniziata molto prima

Davanti al principio di metamorfosi però è sempre bene guardare indietro, fare il percorso al contrario per capire dove è iniziato tutto. Un tempo la musica era identità: punk, metal, hip hop o indie definivano tribù urbane e stili di vita. Oggi l’ascolto è diventato un gesto automatico, spesso mediato da un algoritmo.

In mezzo a questi due poli c'è stato Napster alla fine degli anni ’90, l’iPod, e la musica è diventata onnipresente. Poi Spotify, lanciato nel 2008, ha trasformato l’ascolto in un flusso continuo di suoni selezionati da playlist automatiche come “Sunday Chill”, “Lo-Fi Coding”, “Dinner Vibes”. A quel punto il significato dell’ascolto si è capovolto: la musica non serve più a esprimere qualcosa ma a riempire qualcosa. Il silenzio, il tempo, il vuoto. Dipende.

Non solo, molto prima che l'intelligenza artificiale generativa iniziasse a conquistare internet, la musica in streaming era diventata una replica: un po' quella canzone che spacca di cui mi parlava il produttore. Insomma, canzoni che sarebbero potute benissimo essere state create da una macchina. Tirando le fila. La musica artificiale scala le classifiche perché il nostro orecchio era già abituato ad ascoltare questa roba. E  forse, alla fine, davvero a nessuno importa più se la musica è reale oppure no. 

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Nata ad Asti nel 1996, sono giornalista e musicista. Scrivo di intelligenza artificiale, crypto, e cyber security per la sezione Innovazione di Fanpage. Ho collaborato con La Stampa, Tgcom24, Rolling Stone e Linkiesta. A giugno e agosto 2022 sono stata in Ucraina per raccontare le storie dei profughi di guerra.
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