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Una straordinaria scoperta in una grotta del Laos fa luce sul mistero dell’evoluzione umana

Si tratta di un dente fossile rinvenuto in una cava calcarea nota come Grotta del Cobra, a 250 km a Nord della capitale Vientiane. Apparteneva a una bambina vissuta almeno 130.000 anni fa, probabilmente una denisoviana.
A cura di Valeria Aiello
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I ricercatori hanno iniziato a scavare nela Grotta del Cobra, nel Laos settentrionale, nel 2018 
I ricercatori hanno iniziato a scavare nela Grotta del Cobra, nel Laos settentrionale, nel 2018 

Nel Laos, a migliaia di chilometri a Sud dai Monti Altaj della Siberia da dove emersero gli unici altri resti che documentano la presenza pleistocenica dell’Homo di Denisova in Asia, un team internazionale di paleontologi guidato da Laura Shackelford dell’Università dell’Illinois si è imbattuto in un fossile particolarmente interessante: un dente umano di oltre 130.000 anni. La straordinaria scoperta è stata rivelata in un articolo pubblicato questa settimana su Nature Communications, aiutando a delineare un misterioso capitolo dell’evoluzione umana.

Il dente, un molare inferiore, è stato rinvenuto il 3 dicembre 2018 in una cava calcarea delle montagne dell’Annamita chiamata Tam Ngu Hao 2, una caverna nota alla gente del posto come Grotta del Cobra, a circa 250 chilometri a Nord dalla capitale del Laos, Vientiane. I ricercatori ritengono che appartenga a una bambina, che probabilmente era una denisovana, l’enigmatica specie del genere Homo identificata per la prima volta nel 2010. Il molare è la prima prova fossile che colloca i denisoviani nel Sud-Est asiatico mentre il sito è il terzo al mondo, dopo quello siberiano e un altro in Tibet, a produrre fossili appartenenti a questa specie umana estinta.

Il dente denisoviano rinvenuto nella cava di Tam Ngu Hao 2, nota come Grotta del Cobra, a circa 250 chilometri a Nord dalla capitale del Laos, Vientiane / CNRS.
Il dente denisoviano rinvenuto nella cava di Tam Ngu Hao 2, nota come Grotta del Cobra, a circa 250 chilometri a Nord dalla capitale del Laos, Vientiane / CNRS.

Le prove genetiche condotte dai ricercatori hanno mostrato strette affinità tra il molare e una mascella denisoviana, nota come la mandibola di Xiahe, scoperta nel 2019 ai confini dell’altopiano tibetano, supportando le tesi secondo cui i denisoviani siano più strettamente legati a regioni più meridionali del Sud-Est asiatico. “I denti sono come la scatola nera di un individuo – ha affermato Clément Zanolli, ricercatore in paleoantropologia al CNRS, il Centro nazionale francese per la ricerca scientifica, e co-autore principale dell’articolo – . Conservano molte informazioni sulla loro vita e biologia, e sono sempre stati usati per descrivere le specie o per distinguere tra specie. Quindi per noi paleoantropologi (i denti) sono fossili molto utili”. Nella loro forma, struttura interna, chimica e modelli di usura, i denti possono infatti preservare tracce dell’età, della dieta e persino del clima.

Sulla base dell’analisi dei sedimenti della grotta, della datazione di tre ossa di animali trovate nello stesso strato dove è stato rinvenuto il dente e dell’età della roccia sovrastante il fossile, i ricercatori stimano che il molare abbia tra i 131.000 e 164.000 anni. La superficie masticatoria del dente ha invece indicato che è il molare è molto più rugoso dei moderni molari umani e ha una cresta che è comune a quella dei denti dei Neanderthal. Tuttavia, la forma generale e la struttura interna ricorda quella dei denti denisoviani della mandibola di Xiahe. La mancanza di radici o di usura superficiale ha invece suggerito l’appartenenza a un infante, morto prima che i denti fossero completamente formati, probabilmente tra i 3,5 e gli 8,5 anni di età. A indicare che apparteneva a una bambina sono state invece alcune proteine, anche se le stesse  per ora non sono state sufficienti a posizione il dente all’interno di un ramo specifico dell’albero genealogico degli ominidi.

Il molare denisoviano nel dettaglio / Nature Communications
Il molare denisoviano nel dettaglio / Nature Communications

Anche se l’analisi non ancora permesso di confermare l’identità della piccola denisoviana, “non c'è nulla che ci impedisca di cercare altre proteine ​​​​presenti nello smalto – ha affermato il co-autore dello studio Frido Welker, paleogenetista presso il Globe Institute dell’Università di Copenaghen – . Man mano che i metodi per estrarre e analizzare il DNA e le proteine ​​associate migliorano, speriamo che il dente fornisca maggiori dettagli”.

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