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Una nuova procedura per il melanoma aumenta la sopravvivenza del 30%: cos’è l’immunoterapia pre-chirurgica

Uno studio internazionale ha promosso a nuovo standard di cura l’immunoterapia precedente all’operazione chirurgica. Nei pazienti con melanoma metastatico è stato registrato un tasso di sopravvivenza dell’84%, superiore del 30% rispetto a quello associato all’approccio utilizzato finora che prevede l’immunoterapia solo dopo la chirurgia.
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Il melanoma con metastasi non sarà più trattato allo stesso modo. Uno studio internazionale ha infatti confermato la maggiore efficacia dell'immunoterapia somministrata prima dell'intervento chirurgico rispetto all'attuale iter di cura, che prevede il ricorso a questa classe di farmaci solo dopo l'operazione. In termine medici si parla di "immunoterapia neo-audivante" e da oggi in poi sarà il nuovo standard di cura per il melanoma metastatico. Qui abbiamo approfondito quali sono i segnali da non sottovalutare in caso di sospetto tumore della pelle.

La notizia arriva dal congresso dell'American Society of Clinical Oncology (Asco) di Chicago, dove sono stati presentati i risultati dello studio internazionale Nadina, pubblicati sul New England Journal of Medicine: nei pazienti sottoposti a immunoterapia neo-audivante è stato registrato un tasso di sopravvivenza pari all'83%, ovvero maggiore del 30% rispetto a quello osservato nei pazienti che avevano ricevuto il trattamento standard, oltre a una migliore risposta anche in termini di riduzione del rischio di recidiva. "Questi risultati – spiegano gli autori dello studio – cambiano la pratica clinica".

Come l'immunoterapia modificherà il trattamento del melanoma

Quello presentato alla conferenza di Asco è uno studio dalle grandi potenzialità perché modifica l'iter di cura previsto per i pazienti con melanoma metastatico operabile. In questi casi infatti la prassi clinica prevedeva finora la rimozione tramite chirurgia del melanoma e solo dopo l'immunoterapia (in questi casi si parla "immunoterapia adiuvante").

Tuttavia, spiegano gli autori, questa prassi ha mostrato limiti significativi: circa il 50% dei pazienti trattati con questo approccio mostra infatti una recidiva nei primi anni dopo l'intervento. A fronte di questi dati i ricercatori che hanno lavorato a Nadina – tra cui anche l'italiano Paolo Ascierto, presidente della Fondazione Melanoma – hanno cercato di sviluppare un nuovo approccio terapeutico.

Che cosa ha dimostrato lo studio

Lo studio ha preso in esame un gruppo di 423 pazienti con melanoma al terzo stadio operabile. Di questi un gruppo è stato sottoposto al trattamento standard, mentre sul secondo è stata sperimentata l'immunoterapia neo-audivante (due cicli dei farmaci ipilimumab e nivolumab): in sostanza questo secondo gruppo di pazienti ha ricevuto l'immunoterapia anche prima dell'intervento.

Dopo 12 mesi i dati sul tasso di sopravvivenza senza recidiva parlavano chiaro: nel secondo gruppo era pari all'84%, esattamente il 33% in più di quello registrato nel primo gruppo. Non solo, i pazienti che avevano ricevuto l'immunoterapia prima della chirurgia mostravano un rischio di recidiva o morte inferiore del 68% rispetto al gruppo di confronto.

I ricercatori hanno anche osservato che in un numero consistente di pazienti il rischio recidiva fosse inferiore perfino in assenza di immunoterapia post-intervento: in quasi sei pazienti su 10 del secondo, la terapia adiuvante può infatti essere considerata superflua, dato che nel 59% dei casi la sopravvivenza a 12 mesi è stimata sopra il 95%, a prescindere da quella post-chirurgia.

Quali pazienti potranno riceverla

La nuova prassi clinica non potrà essere applicata a tutti i pazienti con melanoma metastatico, ma solo in quei quadri clinici che soddisfano alcune specifiche condizioni. Innanzitutto – spiega Ascierto, anche direttore dell'Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto Pascale di Napoli – la malattia deve essere "clinicamente evidente" così che possa essere rimossa attraverso la chirurgia. In questi pazienti l'immunoterapia precedente all'intervento sembrerebbe quindi rafforzare il sistema immunitario e ridurre così il rischio di recidiva.

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