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Un metodo semplice e poco costoso elimina le pericolose sostanze PFAS dall’acqua da bere

Sviluppato da un team di ricerca americano, permette di degradare una dozzina di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) che sono impossibili da rimuovere attraverso la maggior parte di sistemi di trattamento dell’acqua potabile.
A cura di Valeria Aiello
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Negli ultimi anni è diventato particolarmente urgente trovare un modo per rimuovere le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) dall’acqua, una classe di composti chimici ampiamente utilizzata dagli Anni 50 in campo industriale per la loro capacità di rendere i prodotti impermeabili. Il loro impiego più noto è probabilmente legato al rivestimento antiaderente di pentole e padelle (teflon) e alla produzione di tessuti tecnici (Gore-tex), ma i PFAS sono usati anche nella fabbricazione di impermeabilizzanti per tessuti e pelli, insetticidi, vernici, cera per pavimenti e detersivi. Secondo gli ultimi rapporti, questi composti – noti anche come sostanze chimiche permanenti (forever chemicals) – hanno contaminato praticamente ogni goccia d’acqua del pianeta, e nel tempo possono accumularsi nei tessuti di persone e animali, causando danni che i ricercatori hanno appena iniziato a capire. Alcuni studi li hanno associati ad alcune forme di tumore e malattie della tiroide, calo della fertilità e ritardo nello sviluppo per i bambini. La loro struttura chimica e, in particolare, i forti legami carbonio-fluoro presenti nei PFAS rendono questi composti tossici altamente resistenti ai processi di degradazione chimica e biologica, consentendo a queste pericolose molecole di attraversare praticamente illese la maggior parte dei sistemi di trattamento delle acque.

Il nuovo metodo per eliminare i PFAS dall’acqua

In un nuovo articolo pubblicato sulla rivista Science, un team di chimici dell’Università della California a Los Angeles e della Northwestern University di Evanston, nell’Illinois, ha annunciato lo sviluppo di un nuovo metodo per eliminare quasi una dozzina di PFAS dall’acqua, a partire dalla scoperta di un potenziale punto debole di queste sostanze. In particolare, i ricercatori hanno notato che i PFAS contenenti un acido carbossilico, chiamati acidi perfluoroalchil carbossilici (PFCA), nonostante presentino una lunga “coda” formata dai forti legami carbonio-fluoro, hanno una “testa” che spesso contiene atomi di ossigeno carichi, che reagiscono fortemente con altre molecole.

Ciò ha suggerito la possibilità di mettere a punto un protocollo per innescare una reazione di decarbossilazione e le successive fasi di defluorazione e accorciamento della catena, in modo da “rosicchiare gradualmente la molecola” senza sottoprodotti nocivi, come spiegato da Kendall Houk, illustre professore dell’Università della California e co-autore corrispondente dello studio.

Il metodo prevede di riscaldare l’acqua con i PFAS a una temperatura compresa tra 80-120 °C e l’utilizzo di solventi e reagenti comuni e poco costosi (dimetilsolfossido, noto anche come DMSO, e idrossido di sodio, o liscivia). “Questo ha innescato la serie di reazioni, staccando la testa e lasciando la coda esposta e reattiva, che ha iniziato a sputare atomi di fluoruro, che è la forma più sicura del fluoro” hanno spiegato gli studiosi.

Gli esperimenti hanno infatti dimostrato che gli unici sottoprodotti della reazione sono il fluoruro, spesso aggiunto all’acqua potabile per prevenire la carie, l’anidride carbonica e l’acido formico, spesso utilizzato anche come additivo alimentare.

Il metodo ha permesso di degradare dieci diversi tipi di acidi perfluoroalchil carbossilici (PFCA) e acidi perfluoroalchil carbossilici (PFECA), compreso l’acido perfluoroottanoico (PFOA), ma secondo i ricercatori può essere impiegato con successo per eliminare la maggiore parte dei PFAS che contengono acidi carbossilici, offrendo inoltre la possibilità di trattare grandi quantità d’acqua contemporaneamente e di adattare il processo per l’impiego in impianti di trattamento delle acque per rimuovere i PFAS dall’acqua potabile.

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