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Queste bolle nere catturano acqua fresca dall’aria: non usano batterie né pannelli solari

Ricercatori del MIT hanno sviluppato un rivoluzionario dispositivo in grado di catturare acqua fresca e potabile dall’aria, anche quella secca e rarefatta del deserto. Si basa su uno strano idrogel nero simile a un pluriball, che assorbe il vapore acqueo contenuto nell’atmosfera e lo rilascia sotto forma di liquido.
A cura di Andrea Centini
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Le bolle nere di idrogel in grado di catturare l’acqua dall’aria del deserto. Credit: MIT
Le bolle nere di idrogel in grado di catturare l’acqua dall’aria del deserto. Credit: MIT

I ricercatori hanno creato un materiale simile a uno strano pluriball nero in grado di catturare l'acqua dall'aria, compresa quella secca del deserto. E proprio nell'arido deserto della Death Valley tra California e Nevada, negli Stati Uniti, dove la temperatura può sfiorare i 60 °C e l'umidità precipitare sotto il 10 percento, un dispositivo simile a una finestra equipaggiato con il suddetto pluriball è riuscito a ottenere acqua fresca e pulita anche dalle bassissime concentrazioni di vapore acqueo presenti nell'atmosfera. Una prova di concetto straordinaria che, in futuro, potrebbe portare allo sviluppo di dispositivi scalabili ed efficaci, da cui potrebbero trarre beneficio milioni di persone prive di accesso agevole ad acqua potabile e sicura.

A rendere questo dispositivo particolarmente prezioso è il fatto che funziona senza batteriecelle solari: si basa esclusivamente sull'umidità dell'aria, sfruttando condensazione ed evaporazione per ottenere il prezioso liquido. A sviluppare il peculiare pluriball nero è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del prestigioso Massachusetts Institute of Technology, meglio noto con l'acronimo MIT, in collaborazione con colleghi di diversi istituti: tra questi, il Centro di Ricerca sui Materiali Sostenibili dell’Università Politecnica Mohammed VI (Marocco), il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e dell’Automazione dell’Università Cinese di Hong Kong, il Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Università Nazionale di Singapore, e altri ancora.

I ricercatori, coordinati dal professor Xuanhe Zhao, docente di Ingegneria Meccanica e Civile presso l’ateneo di Cambridge, hanno deciso di sviluppare una tecnologia innovativa per contrastare la crisi idrica globale, sempre più aggravata dal cambiamento climatico. Un numero crescente di persone non ha accesso ad acqua potabile sicura ed economica; per questo hanno puntato su una fonte disponibile ma sottoutilizzata: l’umidità atmosferica, le cui concentrazioni aumentano in correlazione al riscaldamento globale.

Il cuore pulsante del nuovo dispositivo, chiamato “finestra di raccolta dell’acqua atmosferica” (AWHW), è un idrogel nero punteggiato da piccole cupole che si gonfiano durante l’assorbimento dell’acqua, aumentando la superficie utile e le quantità raccolte. L’idrogel è inserito in una sorta di finestra verticale con pannelli di vetro: uno di essi è rivestito da un materiale polimerico che agevola il raffreddamento e la raccolta dell’acqua condensata tramite piccoli canali. L'animazione qui di seguito mostra il funzionamento.

Credit: MIT
Credit: MIT

Il principio è semplice ma ingegnoso: il vapore acqueo contenuto nell’aria — persino quella secca del deserto — viene assorbito dal “pluriball” nero, soprattutto durante la notte, quando l’umidità è più alta. Di giorno, il calore provoca l’evaporazione dell’acqua dalle cupole di idrogel, che si contraggono “come un origami” lasciandola depositare sul vetro. A quel punto, la gravità e i canali permettono all’acqua di essere convogliata in un contenitore situato alla base del dispositivo.

Il segreto dell’idrogel, rivestito da un inchiostro nero atossico, risiede nella composizione: alcol polivinilico (PVA), cloruro di litio e glicerolo. Il sale cattura l’acqua, mentre il glicerolo impedisce al sale di fuoriuscire insieme al vapore acqueo, assicurando così la produzione di acqua potabile con una concentrazione salina inferiore rispetto ad altri dispositivi analoghi, alimentati o meno. Come detto, il sistema AWHW è totalmente autonomo, privo di qualsiasi forma di alimentazione: non ha bisogno di batterie né di pannelli solari.

Durante i test nella Death Valley, un dispositivo di un metro è riuscito a raccogliere fino a 160 millilitri di acqua al giorno. Una quantità ridotta, ma sufficiente a dimostrare una prova di concetto, che può essere perfezionata in molteplici modi. Gli autori dello studio sono fiduciosi: dispositivi simili in futuro potrebbero coprire il fabbisogno idrico di una famiglia che vive in zone dove l’accesso all’acqua potabile è scarso o del tutto assente.

“Abbiamo costruito un dispositivo su scala di un metro, che speriamo di implementare in regioni con risorse limitate, dove persino una cella solare non è facilmente accessibile”, ha dichiarato il professor Zhao in un comunicato stampa. “Si tratta di un test di fattibilità per l’espansione su larga scala di questa tecnologia. Ora è possibile costruirlo su scala ancora più grande, o integrarlo in pannelli paralleli per fornire acqua potabile e ottenere un impatto concreto”.

Recentemente, scienziati australiani hanno sviluppato una tazza hi-tech in grado di intrappolare l’umidità dell’aria secca e rarefatta e convertirla in preziosa acqua potabile, grazie anche a filtri che eliminano eventuali particelle inquinanti. I dettagli della ricerca, intitolata “A metre-scale vertical origami hydrogel panel for atmospheric water harvesting in Death Valley”, sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Water.

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