Questa pratica giapponese aiuta a perdere peso e migliora il rapporto con il cibo: i consigli degli esperti

Probabilmente in molti hanno sentito parlare per la prima volta dell'Hara hachi bu (nella forma completa Hara hachi bun Me – 腹八分目) grazie alla miniserie documentaristica su Netflix “Zone blu: i segreti della longevità”, dove l'autore ed esploratore Dan Buettner si reca in alcuni luoghi del mondo in cui vi è una elevata concentrazione di centenari e persone in ottima salute. Fra essi figura l'isola di Okinawa, dove da circa tre secoli viene seguita da molti questa tradizione alimentare, legata alla spiritualità e al benessere fisico e mentale. In parole semplici, si tratta di un insegnamento del confucianesimo che promuove la moderazione durante i pasti, consumandoli fino a quando non si è sazi all'80 percento. Hara hachi bu, infatti, dal giapponese può essere tradotto letteralmente in “mangia finché non sei pieno per otto parti (su dieci)”, dunque fino all'80 percento.
Cos'è l'Hara hachi bu
Come indicato in un nuovo articolo pubblicato su The Conversation dalla professoressa Aisling Pigott, docente di Dietetica presso l'Università Metropolitana di Cardiff (Galles, Regno Unito), l'Hara hachi bu non deve essere visto “come un metodo di restrizione alimentare”, piuttosto come un approccio non dietetico che aiuta a mangiare in modo più consapevole, sano e gratificante, in cui assaporare i cibi – senza eliminarne alcuni – aumenta la connessione con ciò che consumiamo e sul perché lo facciamo. Non sempre infatti la fame è promossa dalla necessità dell'organismo di ricevere nuovo “carburante”, bensì da noia, stress e altre condizioni che catalizzano la voglia di mangiare su base emotiva. Questo approccio può attivare il circuito della ricompensa innanzi a difficoltà e delusioni, rendendo il rapporto col cibo malsano e trasformando la tavola il luogo in cui cercare rifugio, sfociando in una pericolosa dipendenza. L'Hara hachi bu aiuta di fatto a godersi il cibo, a rallentare i ritmi dei pasti e a goderne non fin quando si ha la pancia piena, ma fino a quando si è soddisfatti e consapevoli del benessere che deriva da ciò che consumiamo.
Non c'è da stupirsi che sull'isola di Okinawa, dove questa pratica viene seguita sin dall'inizio del XVIII secolo, come indicato dalla Cleveland Clinic – una delle più importanti associazioni sanitarie degli Stati Uniti – si registrano tra i tassi più bassi di cancro, malattie cardiache e ictus, oltre alla sopracitata concentrazione di centenari. Mangiare con moderazione alimenti sani – nella stragrande maggioranza dei casi di origine vegetale – è notoriamente associato a una vita più sana e lunga, come dimostrano vari studi; in questo caso però non vi è un regime di restrizione calorica o preclusione a determinati alimenti, ma proprio un approccio più sano al cibo che porta a consumare porzioni più piccole. La psicologa Susan Albers, ad esempio, spiega che con l'Hara hachi bu si può imparare ad abbandonare la mentalità del “tutto o niente” in tema di porzioni, ovvero le abbuffate senza limiti oppure la rigidissima restrizione calorica, seguita da alcuni per perdere peso. “Se hai difficoltà a mangiare meno, provare a mangiare porzioni più piccole più spesso per aiutarti a gestire questa sensazione. Puntare a un livello di sazietà dell'80% dovrebbe evitare di innescare la sensazione di ‘troppo pieno'”, suggerisce la scienziata nell'articolo della Cleveland Clinic.
I consigli per seguire l'Hara hachi bu
Ma come seguire questo insegnamento le cui radici affondano nel confucianesimo? La professoressa Pigott indica una serie di consigli: controllare che tipo di fame si ha, se fisica o emotiva e riflettere su questo prima di mettersi a mangiare; evitare le distrazioni e concentrarsi sul pasto quando si mangia, considerando che l'uso di schermi è associato a un'alimentazione disregolata e un consumo inferiore di frutta e verdura; mangiare più lentamente e assaporare ogni boccone; ascoltare il proprio corpo, fermandosi quando ci si sente piacevolmente sazi ma non pieni; condividere i pasti con gli altri; fare in modo che i pasti siano ricchi di nutrienti preziosi come fibre, sali minerali e vitamine; non sentirsi in colpa per ciò che si mangia, perché secondo l'Hara hachi bu non bisogna seguire uno schema rigido e perfetto, ma essere soddisfatti di ciò che si consuma.
I benefici dell'Hara hachi bu
Sebbene la letteratura scientifica sulla questione non sia particolarmente approfondita, alcuni studi hanno dimostrato che seguire l'Hara hachi bu è associato a un indice di massa corporea (BMI – Body Mass Index) più basso e a una salute cardiometabolica migliore, come evidenziato dalla ricerca “Caloric Restriction, the Traditional Okinawan Diet, and Healthy Aging” pubblicata su Annals of The New York Academy Science. Oltre a migliorare la salute e favorire una perdita di peso sana, questa pratica può aiutare anche a non riacquisire i chili di troppo dopo averli persi, una conseguenza cui vanno incontro molte delle persone che si sottopongono a una dieta.
La professoressa Pigott sottolinea tuttavia che la pratica giapponese se viene vista come un modo per perdere peso, “rischia di innescare un circolo vizioso di restrizioni, disregolazione e sovralimentazione, l'esatto opposto dell'ethos equilibrato e intuitivo che dovrebbe incarnare”. È semplicemente un modo per approcciarsi al cibo in modo più consapevole e sano, in cui non si deve necessariamente consumare tutto ciò che c'è nel piatto; si può iniziare a ridurre progressivamente fin quando non si trova l'equilibrio del “sazi all'80 percento” con porzioni più piccole. Chiaramente questo approccio non può essere adatto a tutte e tutti, spiega l'esperta (ad esempio bambini e persone con determinate patologie), ma può aiutare in molti. Come sempre, prima di introdurre cambiamenti nel proprio modello alimentare, la raccomandazione degli esperti è quella di consultare un medico dietologo o comunque un professionista della nutrizione.