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Covid 19

Perché la variante Omicron riempie gli ospedali ma non le terapie intensive

La drammatica ondata di variante Omicron sta facendo aumentare sensibilmente i ricoveri in ospedale, ma non quelli nei reparti di terapia intensiva.
A cura di Andrea Centini
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La variante Omicron (B.1.1.529) del coronavirus SARS-CoV-2 sta guidando la nuova ondata di contagi in molti Paesi, a causa di una trasmissibilità che si stima essere oltre cinque volte quella della precedente variante Delta. Basti pensare che nel Regno Unito il 4 gennaio sono stati toccati 218mila nuovi positivi, mentre negli Stati Uniti il giorno prima i contagi sono stati stati più di un milione. Questi numeri dirompenti stanno determinando un aumento considerevole dei ricoveri in ospedale, con molti reparti in affanno a causa del costante afflusso di pazienti. Tuttavia c'è una differenza sostanziale ed estremamente significativa con ciò che si è verificato durante le ondate precedenti: non solo i pazienti Covid hanno nella stragrande maggioranza dei casi sintomi più lievi e vengono dimessi prima, ma le terapie intensive non si stanno riempiendo. Cosa sta succedendo?

Una delle ragioni plausibili risiede nel fatto che la variante Omicron sia meno aggressiva delle altre varianti di preoccupazione elencate dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ovvero la Alfa (B.1.1.7, ex inglese), la Beta, la Gamma e la Delta, che è stata recentemente soppiantata proprio dalla nuova variante identificata in Sudafrica. Non a caso lo studio ZOE COVID Symptom Study condotto nel Regno Unito evidenzia che oltre il 50 percento dei pazienti infettati da Omicron sperimenta sintomi assimilabili a quelli di un raffreddore, tra i quali la rinorrea (il naso che cola), l'affaticamento, il mal di testa, il mal di gola, gli starnuti, la sudorazione notturna, i dolori muscolari e il mal di schiena, seguiti da nebbia mentale e di perdita di appetito. I sintomi principali che hanno caratterizzato la COVID-19 fino ad oggi, come la tosse, la febbre e le difficoltà respiratorie, più affini a un'influenza, si riscontrerebbero con minor frequenza, con tutto ciò che ne consegue in termini di gravità dell'infezione.

Oltre a una potenziale (ma verosimile) inferiore morbilità della variante Omicron, la riduzione negli accessi alle unità di terapia intensiva può essere legato anche al fatto che tantissime persone arrivano in ospedale per altre condizioni cliniche, risultando poi positive al tampone di controllo. La circolazione virale è infatti estrema, dunque sono molti i positivi rilevati accidentalmente, senza che abbiano sintomi significativi della COVID-19. Basti pensare che nell'area di New York, come specificato dal New York Times, tra il 50 e il 65 percento dei ricoveri riguarda pazienti che si presentano per altri disturbi e non per Covid. Va anche tenuto presente che la ridotta aggressività della variante Omicron può essere dovuta al fatto che sta colpendo una popolazione sempre più immunizzata, da un'infezione naturale precedente o dalla vaccinazione: non è un caso che nella maggior parte dei casi a finire in terapia intensiva sono persone non vaccinate o con un sistema immunitario compromesso, che non risponde bene alle dosi di vaccino anti Covid.

“Stiamo assistendo a un aumento del numero di ricoveri, ma la gravità della malattia sembra diversa dalle ondate precedenti”, ha dichiarato al NYT il professor Rahul Sharma, medico di emergenza presso l'ospedale NewYork-Presbyterian/Weill Cornell. “Non stiamo inviando così tanti pazienti al reparto di terapia intensiva, non stiamo intubando così tanti pazienti, e in realtà, la maggior parte dei nostri pazienti che stanno arrivando al pronto soccorso che risultano positivi vengono effettivamente dimessi”, ha aggiunto lo specialista. “All'inizio della pandemia, eravamo preoccupati di rimanere a corto di strumenti come i ventilatori”, gli ha fatto eco il dottor Ryan Maves, esperto di malattie infettive e terapia intensiva della Wake Forest School of Medicine di Winston-Salem. “Ora, i veri limiti sono ovviamente la mancanza di posti letto, ma ancora di più quella di personale”. I medici positivi o in quarantena sono infatti tantissimi, pertanto far fronte all'ondata di ricoveri è comunque un impegno molto gravoso per chi può lavorare. Non si esclude comunque che i reparti di terapia intensiva possano iniziare a occuparsi a ritmi più sostenuti nel prossimo futuro, proprio a causa della drammatica circolazione del virus. Un piccola percentuale di casi gravi su un numero enorme di pazienti, può comunque mandare in affanno le strutture sanitarie.

Un dato piuttosto significativo arriva dai casi Covid registrati presso l'ospedale Houston Methodist. Al 20 dicembre il 90 percento dei pazienti contagiati aveva contratto la variante Omicron; mettendo a confronto il decorso clinico di oltre 1.300 pazienti positivi alla nuova variante con quello di pazienti infettati dalla Delta e dall'Alfa, è stato determinato che solo il 15 percento dei pazienti Omicron è stato ricoverato in ospedale, contro il 43 percento dei pazienti Delta e il 55 percento del gruppo Alpha. Inoltre i pazienti Omicron ricoverati avevano meno probabilità di aver bisogno di un ventilatore meccanico e la loro degenza era più breve. “In media – e sottolineo in media – i casi di Omicron sono meno gravi”, ha dichiarato al NYT il dottor James Musser, a capo del Dipartimento di patologia e medicina genomica dello Houston Methodist. “Questa è ovviamente una buona notizia per i nostri pazienti”, ha aggiunto lo specialista. È ancora troppo presto per determinare se davvero la diffusione della variante Omicron rappresenti un punto di svolta nell'emergenza sanitaria, col passaggio da pandemia a endemia, ma dagli ospedali stanno giungendo segnali incoraggianti.

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