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Cambiamenti climatici

Perché è scientificamente sbagliato parlare di bombe d’acqua, anche se tutti le citano

Negli ultimi anni è aumentata la frequenza e l’intensità delle cosiddette “bombe d’acqua”, nubifragi così intensi da provocare danni significativi e spesso anche vittime. Perché si tratta di una terminologia non corretta che può distogliere l’attenzione dal vero problema di fondo.
A cura di Andrea Centini
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Capita sempre più frequentemente di imbattersi nell'inquietante definizione di bomba d'acqua, ma non c'è nulla di cui stupirsi, dato che siamo innanzi a uno degli effetti della crisi climatica in atto. Tra le molteplici conseguenze provocate dal riscaldamento globale, catalizzato dalle emissioni di anidride carbonica (CO2) e gas climalteranti di origine antropica, vi è infatti anche l'incremento dei fenomeni meteorologici estremi, sia dal punto di vista numerico che sotto il profilo dell'intensità. Fra essi figurano anche quelli che sentiamo chiamare bombe d'acqua, ovvero nubifragi particolarmente violenti, repentini e in grado di arrecare danni significativi a persone e cose. Peccato che “bomba d'acqua” è una terminologia priva di qualsivoglia criterio e valore scientifico; non lo troviamo nei manuali di meteorologia perché si tratta di un semplice neologismo di natura squisitamente giornalistica.

L'origine è tutta italiana e affonda le radici nella (purtroppo) ricca storia di eventi naturali catastrofici che ha colpito il nostro Paese, caratterizzato da un territorio assai fragile a causa del rilevante dissesto idrogeologico. Si ritiene che il termine “bomba d'acqua” sia stato utilizzato per la prima volta in un servizio giornalistico del 1996, a seguito della devastante alluvione a Cardoso, in Versilia. L'evento, che costò la vita a 13 persone, fu causato dallo straripamento del torrente Vezza che travolse tutto con una piena di oltre 5 metri. Caddero circa 160 millimetri di pioggia in appena 60 minuti e circa il triplo in poche ore; un acquazzone violentissimo che oggi chiameremmo appunto bomba d'acqua. Secondo altre fonti questo termine sarebbe stato coniato ancora prima, durante l'alluvione a Firenze del 1966; ciò che è certo è che non è maturato in ambito scientifico e a dimostrarcelo vi è anche la rigorosa classificazione dell'intensità delle piogge nei testi di meteorologia.

La classificazione delle piogge

Come indicato nel Manuale di meteorologia scritto da Mario Giuliacci, Andrea Giuliacci e Paolo Corazzon, le piogge vengono classificate sulla base dei seguenti parametri: quantità che precipita in un determinato intervallo temporale; velocità di caduta; diametro delle gocce e densità in atmosfera. La pioggia debole, ad esempio, è caratterizzata da una precipitazione di 1 – 2 millimetri all'ora; un diametro delle gocce di 0,5 millimetri; una velocità di caduta 2 metri al secondo; e una densità in atmosfera di 139 milligrammi per metro cubo. La pioggia forte, d'altro canto, ha una precipitazione superiore ai 6 mm/h (oltre i 10 mm/h si parla di rovescio); un diametro delle gocce compreso tra 1,5 e 2 mm; una velocità di caduta di 5 m/s e una densità in atmosfera di 833 mg/m3.

Per quanto concerne i nubifragi, essi abbracciano tutti gli eventi con precipitazione superiore ai 30 mm/h; diametro delle gocce di 3 millimetri; velocità di caduta al suolo di 8 m/s; e densità in atmosfera di 5.401 mg/m3. Nei casi estremi questi valori possono essere superati abbondantemente, ad esempio con precipitazioni di centinaia di mm/h. Le bombe d'acqua non sono altro che nubifragi estremi, che magari possono comportare esondazioni e alluvioni, ma, lo sottolineiamo, la definizione non è suffragata da alcun criterio scientifico. Alcuni suggeriscono di associarla solo ai nubifragi con precipitazioni superiori a 100 mm/h, ma non c'è consenso e la maggior parte dei meteorologi continua a ritenerla inopportuna.

L'utilizzo di una simile terminologia, probabilmente derivata dalla traduzione letterale di “cloudburst” (nubifragio in inglese), del resto oltre a essere scientificamente inaccurato potrebbe sviare l'attenzione su ciò che sta rendendo questi fenomeni estremi sempre più frequenti e devastanti, ovvero il riscaldamento globale catalizzato dalle emissioni umane. Una bomba d'acqua potrebbe apparire come un qualcosa di estemporaneo, eccezionale, slegato dalla normalità, ma la crisi climatica sta rendendo comune ciò che prima non lo era. Parliamo anche di ondate di calore mortali, incendi, inondazioni, siccità, perdita di raccolti e numerosi altri effetti intimamente connessi.

L'ultima cosiddetta bomba d'acqua, accompagnata da una vera e propria tempesta, ha colpito la Lombardia domenica 6 luglio, sfociando nell'ennesima tragedia. Un grande albero sradicato dalle forti raffiche di vento ha infatti investito in pieno alcune persone a passeggio a Robechetto con Induno, uccidendo una donna di 63 anni. A causa del violentissimo nubifragio sono stati registrati diversi feriti, danni e allagamenti significativi.

Siamo innanzi a eventi che si ripetono ciclicamente e sui quali i meteorologi continuano a metterci in allerta, in particolar modo dopo i periodi di caldo intenso come quello che abbiamo patito nei giorni scorsi. Il calore estremo, infatti, fa accumulare tantissima energia in atmosfera, che successivamente viene scaricata a terra con una forza spaventosa e soverchiante. Il riscaldamento globale è un volano per queste condizioni. Ciò che è accaduto in Texas il 4 luglio, dove si contano oltre 100 morti e diversi dispersi, ne è una delle conseguenze più drammatiche. In poche ore è caduto 1/3 della pioggia che solitamente precipita in un anno, un nubifragio estremo che in appena 45 minuti ha fatto sollevare di oltre 8 metri il livello del fiume Guadalupe, innescando un'esondazione a velocità inaudite. Le conseguenze sulla contea di Kerr e Kendall, dove si trovavano numerosi campi estivi pieni di bambini e ragazzi, sono state apocalittiche.

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