Pandemia di influenza aviaria H5N1, la previsione degli scienziati su dove e come può scoppiare

Una pandemia di influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI), secondo molti epidemiologi, non è questione di se, ma di quando. Lo ha ad esempio dichiarato il virologo ed ex direttore dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli Stati Uniti Robert Redfield, secondo il quale la mortalità potrebbe essere del 50 percento. Sarebbe uno scenario sensibilmente peggiore della pandemia di COVID-19, che ha mostrato un tasso di mortalità sensibilmente più basso (ma anche una diffusione estrema con milioni di morti in tutto il mondo). Il ceppo potenzialmente responsabile di questa pandemia di aviaria è l'H5N1, che da alcuni anni ha dato vita a una panzoozia, ovvero si è diffuso in molteplici specie animali. A causa di questo virus sono morti centinaia di milioni di uccelli (sia selvatici che da allevamento), uccisi dalla malattia o abbattuti per prevenirne la diffusione, ma i contagi sono stati registrati anche tra grandi felini, mustelidi, orsi, foche, gatti – molti dei quali hanno perso la vita – ma anche maiali e mucche da latte. La diffusione fra i bovini è stata una grande sorpresa per gli scienziati (ritenevano che in qualche modo fossero protetti) e indica la capacità del virus di attecchire anche laddove non si riteneva probabile.
L'influenza aviaria A (H5N1) è stata registrata anche fra gli esseri umani e i primi casi risalgono agli anni '90 in Cina. Ad oggi, secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l'infezione è stata rilevata in poco meno di 1.000 persone di 25 Stati, con un totale di 475 morti. La mortalità del 48 percento è praticamente la stessa indicata dal dottor Redfield. Si ritiene tuttavia che i contagi reali siano molti di più di quelli rilevati dalle indagini epidemiologiche, soprattutto tra allevatori di polli e bovini, dove negli ultimi mesi sono state registrate decine di infezioni solo negli Stati Uniti (con anche la prima vittima accertata). Anche tra i veterinari è stata accertata la presenza di anticorpi, segno che l'infezione, in ambienti limitati, circola.
Tuttavia, il fatto che il virus sia stato isolato da oltre 30 anni e non abbia ancora dato vita a una pandemia indica che il ceppo H5N1 non è così "bravo" a infettare le cellule umane; ma con la massiccia circolazione tra gli animali a partire dal novembre 2021, potrebbe sviluppare quelle mutazioni in grado di agevolare lo spillover – il salto di specie all'uomo – con un'infezione efficace, ovvero in grado di trasmettersi da uomo a uomo. Un nuovo studio condotto in India basato su una simulazione al computer (chiamata BharatSim) ha modellato uno scenario in cui ciò potrebbe verificarsi, determinando in che modo si potrebbe perdere il controllo delle prime infezioni ma anche cosa fare per prevenire la pandemia.
A condurre lo studio sono stati i due ricercatori Philip Cherian e Gautam I. Menon del Dipartimento di Fisica dell'Università di Ashoka. I due studiosi hanno sottolineato che l'Asia meridionale o sud-orientale “è probabilmente la sede iniziale di un focolaio” – anche la COVID-19 iniziò in Cina a Wuhan – per questo hanno simulato lo spillover in un villaggio indiano con circa 10.000 persone. Più nello specifico, hanno scelto una versione sintetica di un villaggio nel distretto di Namakkal, nello Stato del Tamil Nadu. La ragione è semplice: qui, come spiegato dalla BBC, sono ospitati 1.600 allevamenti di pollame con circa 70 milioni di animali. Ogni giorno vengono prodotte 60 milioni di uova. Si tratta di un luogo in cui l'influenza aviaria potrebbe passare efficacemente dai polli infetti agli allevatori e innescare una reazione a catena, analoga a quella che alla fine del 2019, in un mercato umido di Wuhan, ha fatto scoppiare la pandemia di COVID-19 (ufficializzata nel 2020 dall'OMS).
Il dottor Cherian e il collega nell'abstract dello studio sottolineano di aver considerato “una popolazione sintetica che rappresenta i contatti primari in un focolaio di epidemia con uccelli infetti.” “Questi contatti primari – evidenziano i due studiosi – trasferiscono le infezioni ai contatti secondari (domestici), da dove l'infezione si diffonde ulteriormente. Abbiamo simulato scenari di epidemia in allevamenti e mercati rionali, tenendo conto della struttura della rete di contatti umani e della stocasticità del processo di infezione. Abbiamo inoltre simulato molteplici interventi, tra cui l'abbattimento degli uccelli, le quarantene e le vaccinazioni.”
Dai risultati è emerso che se un uccello infetta con il virus H5N1 capace di trasmettersi da uomo a uomo, superato il numero di casi da 2 a 10 è molto probabile che l'infezione colpisca anche altre persone al di fuori dei contatti primari e secondari, ovvero gli allevatori (o i clienti) esposti direttamente agli uccelli infetti e i loro famigliari e amici. Quando vengono identificati 10 casi, è verosimile che la situazione sia già sfuggita di mano. Una volta che risultano infettati anche amici di amici e altri contatti terziari, l'unico modo per fermare la potenziale pandemia sarebbe il famigerato lockdown. Per questo è necessario intervenire precocemente con quarantene e altre misure preventive con l'identificazione del primissimo caso. Tuttavia una quarantena introdotta troppo presto favorirebbe la diffusione del virus anche agli altri famigliari; introdurla troppo tardi farebbe sfuggire la situazione di mano. L'abbattimento degli uccelli positivi, inoltre, sarebbe efficace solo se ciò viene effettuato prima di individuare il primo caso umano.
L'intero studio poggia sulla premessa che il virus H5N1 coinvolto sia in grado di trasmettersi efficacemente da una persona all'altra come il coronavirus SARS-CoV-2, tuttavia, come spiegato alla BBC dalla virologa Seema Lakdawala dell'Università Emory di Atlanta “la trasmissione è complessa e non tutti i ceppi hanno la stessa efficacia di altri.” Secondo l'esperta, pertanto, nel caso in cui davvero dovesse innescarsi una pandemia a causa di questo ceppo, le conseguenze sarebbero più simili alla pandemia di influenza suina del 2009 19.000 morti accertati, oltre 280.000 stimati) che non a quella più recente di COVID-19. “Questo perché siamo più preparati ad affrontare una pandemia influenzale. Abbiamo farmaci antivirali autorizzati efficaci contro i ceppi H5N1 come difesa precoce e abbiamo accumulato scorte di vaccini candidati contro l'H5 che potrebbero essere distribuiti a breve termine”, ha chiosato l'esperta. I dettagli della ricerca “Modelling a potential zoonotic spillover event of H5N1 influenza” sono stati pubblicati su BMC Public Health.