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Covid 19

La prossima variante Covid potrebbe non essere così mite come Omicron

Lo suggerisce una nuova ricerca condotta dal virologo Alex Sigal: “L’evoluzione non porta necessariamente a un virus meno aggressivo”.
A cura di Valeria Aiello
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Particelle di Sars-Cov-2 / NIAID
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Dopo quasi tre anni di pandemia, il virus del Covid continua a sorprendere scienziati e medici per la rapidità con cui emergono nuove varianti in grado di scatenare diverse ondate di infezione. La comparsa delle varianti Omicron, più contagiose ma meno aggressive delle forme virali precedenti, ha fatto ipotizzare che la pressione evolutiva stia spingendo il virus verso una maggiore capacità di sfuggire al riconoscimento degli anticorpi a scapito della sua patogenicità o, in alternativa, che l’aumento dell’immunità della popolazione dovuta alla vaccinazione e/o a precedenti infezioni abbia portato a una ridotta incidenza di malattie gravi. In altre parole, i ricercatori si stanno chiedendo se la minore aggressività di Omicron sia conseguente all’aumentata immunità della popolazione o se davvero il virus si stia attenuando durante il processo evolutivo che porta all’emergere delle nuove varianti.

A fare luce sulla questione è una nuova ricerca condotta dal team guidato da Alex Sigal, virologo dell’Africa Health Research Institute di Durban, in Sudafrica, che insieme ai colleghi ha esaminato la possibilità che l’evoluzione virale si traduca in una ridotta patogenicità. Per verificare questa ipotesi, il team ha quantificato i danni causati dal virus (fusione cellulare e morte cellulare dovute a Sars-Cov-2), seguendo la progressione dell’infezione da Omicron BA.1 in una persona immunodepressa con malattia da HIV avanzata.

Tale condizione ha permesso agli studiosi di valutare il virus vivo derivato dall’evoluzione di oltre 6 mesi, in quanto le difese immunitarie indebolite hanno costretto il paziente a restare a lungo positivo al virus.

"L'evoluzione virale sempre porta a un virus più mite"

Nel corso dello studio, i ricercatori hanno osservato che il virus ha accumulato una serie di mutazioni, passando dall’essere un virus mite (indicato nel grafico con D6) a un virus più aggressivo, come lo era il Sars-Cov-2 originario (D190), a seguito delle maggiori capacità di fusione e morte cellulare mostrate dalla versione virale mutata.

Questo non è semplice da spiegare, perché all’inizio il virus era più mite – ha affermato Sigal – . Tuttavia, in base ai parametri che abbiamo misurato, è diventato meno mite, dimostrando che l’evoluzione a lungo termine non sempre porta all’attenuazione”.

Secondo gli studiosi, questi risultati, dettagliati in un articolo in pre-print su MedXRiv, possono indicare che l’evoluzione virale non riduce necessariamente la patogenicità del virus, suggerendo che “la prossima variante, se arriverà, potrebbe non essere così mite come Omicron” ha concluso Sigal.

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