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La donna che sente l’odore del Parkinson ha permesso lo sviluppo del primo test del tampone

In grado di rilevare la malattia in appena tre minuti, il nuovo metodo è stato ispirato dalla signora Joy Milne, un’infermiera in pensione che ha scoperto di poter percepire il Parkinson attraverso l’olfatto.
A cura di Valeria Aiello
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La signora Joy Milne mentre odora un campione. Con lei alcuni ricercatori dell'Università di Manchester / Credit: Università di Manchester
La signora Joy Milne mentre odora un campione. Con lei alcuni ricercatori dell'Università di Manchester / Credit: Università di Manchester

L’incredibile storia di Joy Milne, un’infermiera scozzese in pensione che alcuni anni fa scoprì di poter sentire l’odore del morbo di Parkinson sulla pelle delle persone, ha portato a una svolta nella diagnosi di questa malattia. La sua iperosmia ereditaria – una maggiore sensibilità agli odori – che in passato permise alla donna di “fiutare” il Parkinson del marito ben 12 anni prima della diagnosi, è stata infatti utilizzata dai ricercatori dell’Università di Manchester per sviluppare il primo test del tampone in grado di rilevare questa malattia neurodegenerativa in appena tre minuti.

Il nuovo metodo, hanno spiegato i ricercatori, è effettivamente nato dalle osservazioni di Milne, che hanno permesso di comprendere che il Parkinson ha un odore distinto, che è più forte sulla cute della schiena, dove meno spesso viene lavato via. La donna ha descritto l’odore come una traccia “piuttosto sgradevole, simile alla muffa” specialmente “intorno alle spalle e sulla parte posteriore del collo”, indirizzando i ricercatori ad analizzare la composizione del sebo, ovvero la miscela di diversi lipidi secreta delle ghiandole sebacee sulla pelle, a partire da campioni raccolti con tamponi di cotone dalla parte superiore della schiena di pazienti e soggetti sani.

L’alterata produzione di sebo è una caratteristica ben nota del morbo di Parkinson, ma l’analisi dei campioni ha consentito di rilevare che i lipidi ad alto peso molecolare (>600 Dalton) differiscono significativamente nel sebo dei pazienti rispetto al gruppo di controllo. In particolare, come dettagliato nello studio pubblicato sul Journal of the American Chemical Society, i ricercatori hanno rilevato che i lipidi ad alto peso molecolare sono sostanzialmente più attivi nelle persone affette dal morbo di Parkinson.

Le differenze nei campioni di sebo di pazienti con il Parkinson (PD samples) e nei soggetti sani (control samples) / Credit: JACS
Le differenze nei campioni di sebo di pazienti con il Parkinson (PD samples) e nei soggetti sani (control samples) / Credit: JACS

Per l’analisi, i ricercatori hanno coinvolto un gruppo di 79 persone con Parkinson e un gruppo di controllo sano di 71 persone. “Il sebo è stato trasferito dal tampone di campionamento sulla carta da filtro, che abbiamo quindi tagliato a triangolo, cui abbiamo aggiunto una goccia di solvente e applicato una tensione – ha spiegato il dottor Depanjan Sarkar del Manchester Institute of Biotecnology e autore principale dello studio – . Così facendo trasferiamo i composti dal sebo allo spettrometro di massa, trovando più di 4000 composti, di cui 500 sono diversi tra le persone con il Parkinson rispetto ai partecipanti al controllo”.

Per convalidare i risultati, prima che un test diagnostico che possa essere utilizzato nelle cliniche o dai medici di famiglia, saranno necessari ulteriori studi, anche se la professoressa Perdita Barran, che ha guidato la ricerca, ha affermato che il prossimo step di messa a punto di un test di conferma rappresenterà comunque una “svolta” nella diagnosi del Parkinson. “Al momento l’abbiamo sviluppato in un laboratorio di ricerca e ora stiamo lavorando con i colleghi nei laboratori analitici ospedalieri per trasferire loro il nostro test, in modo che possa funzionare all’interno di un ambiente ospedaliero – ha precisato Barran – . Speriamo entro due anni di poter iniziare a testare le persone nell'area di Manchester”.

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