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Il DNA può dirci quali sono gli animali a più alto rischio di estinzione

Lo rivela una nuova ricerca pubblicata su Science: “Scoperta che potrebbe cambiare il modo in cui le azioni di salvaguardia vengono applicate”.
A cura di Valeria Aiello
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Il DNA, o meglio, le informazioni contenute nel genoma degli animali, possono aiutarci a prevedere quali sono i mammiferi che sono a più alto rischio di estinzione. Lo rivela una nuova ricerca appena pubblicata sulla rivista Science, da cui emerge che il genoma di ogni singolo esemplare può essere sufficiente a identificare qual è la probabilità che la specie a cui appartiene si estingua. Nello specifico, gli studiosi, guidati da Aryn Wilder della San Diego Zoo Wildlife Alliance e Beth Shapiro dell’Università della California a Santa Cruz, hanno scoperto che le specie con popolazioni storicamente meno numerose portano carichi più elevati di mutazioni dannose, il che le espone più rapidamente al rischio di estinzione.

Il sequenziamento del DNA rivela il rischio di estinzione

Il pianeta sta vivendo una rapida perdita di biodiversità, con decine di migliaia di specie a rischio di estinzione. Identificare quelle che ne hanno più urgente bisogno di protezione è un processo lungo e costoso che, date le esigue risorse per gli interventi di conservazione, per molte specie si traduce informazioni scarse e che non permettono una corretta valutazione del loro stato di conservazione. Per superare queste limitazioni, gli scienziati hanno quindi ideato un nuovo approccio per identificare le specie minacciate tra le migliaia prive di un’adeguata valutazione, esaminando il DNA di 240 specie di mammiferi, dai minuscoli toporagni alle torreggianti giraffe, fino alle orche assassine e persino gli umani.

Le informazioni contenute nel DNA possono indicare il rischio di estinzione in diverse specie di mammiferi. Su 240 mammiferi esaminati, le specie con popolazioni storicamente meno numerose, minore diversità genetica e un carico genetico più elevato di mutazioni dannose, hanno mostrato maggiori probabilità di essere minacciate di estinzione / Credit: Science
Le informazioni contenute nel DNA possono indicare il rischio di estinzione in diverse specie di mammiferi. Su 240 mammiferi esaminati, le specie con popolazioni storicamente meno numerose, minore diversità genetica e un carico genetico più elevato di mutazioni dannose, hanno mostrato maggiori probabilità di essere minacciate di estinzione / Credit: Science

L’analisi ha evidenziato che il DNA di ogni singola specie riflette la storia della specie stessa nel corso di milioni di anni e contiene “informazioni su demografia, diversità, fitness e potenziale di adattamento – spiegano i ricercatori – . Ciò può fornire una valutazione del rischio di conservazione rapida ed economica, anche quando sappiamo poco delle caratteristiche fisiologiche, comportamentali e della storia della vita degli animali. Oppure dirci anche quanti individui rimangono”.

Per arrivare a queste conclusioni, gli studiosi hanno utilizzato la ricerca genomica per addestrare modelli che distinguano rapidamente tra specie minacciate e non minacciate, sulla base della demografia, della diversità e delle mutazioni che influiscono sulla forma fisica. Tre specie, in particolare, la talpa cieca delle montagne dell’Alta Galilea, il chevrotain minore e l’orca, sono evidenziate come solo tre esempi delle migliaia di specie prive di informazioni sul fatto che siano minacciate. Gli scienziati hanno quindi applicato i loro modelli a queste specie “carenti di dati” per dimostrare come potrebbe funzionare una valutazione del rischio su base genomica.

Ciò che rende la ricerca rivoluzionaria è il numero complessivo di specie incluse nello studio, che è il più grande del suo genere, cosa che ha permesso agli scienziati di stimare le caratteristiche genomiche che predicono meglio il rischio di estinzione e costruire modelli di valutazione del rischio che possano essere utilizzati in tutte quelle circostanze in cui manca un’adeguata valutazione dello stato di conservazione delle specie. Gli autori dello studio hanno quindi sottolineato l’importanza di includere le informazioni genomiche nelle valutazioni, per colmare il divario tra genetisti e gestori della conservazione e fornire un quadro per distribuire denaro e risorse alle specie a più alto rischio.

Molte specie potenzialmente in pericolo sono classificate come ‘carenti di dati’, il che significa che abbiamo semplicemente davvero poche informazioni per determinare se è necessaria un’azione di conservazione immediata – ha affermato Shapiro – . I nostri risultati mostrano che un genoma di un singolo individuo può essere sufficiente per identificare le specie più minacciate tra quelle ‘carenti di dati’, consentendoci di concentrare le risorse dove possono avere il maggior impatto”.

Questi risultati – ha aggiunto Wilder – mostrano che le informazioni genetiche , anche se ottenute solo da un singolo individuo per una data specie, offrono una guida immediata e attuabile per gli scienziati che progettano strategie di conservazione”.

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