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Il caffè può ridurre il rischio di tumore al fegato: uno studio spiega come agisce sull’infiammazione

Un gruppo di ricercatori ha confrontato e messo insieme le informazioni oggi disponibili sui potenziali effetti benefici del consumo di caffè sul fegato: ecco come questa bevanda può contrastare il danno epatico e il rischio di diverse malattie, anche tumorali.
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I benefici del caffè sono stati evidenziati da numerosi studi, soprattutto per quanto riguarda la riduzione del rischio di malattie cardiovascolari e, in generale, della mortalità precoce. Ora, un gruppo di ricercatori ha analizzato una grande quantità di dati disponibili sui possibili benefici epatoprotettivi, ovvero protettivi del fegato. I risultati sono stati pubblicati in un articolo sulla rivista Biochemical Pharmacology.

Già altri studi in passato avevano mostrato come il caffè possa avere un effetto protettivo contro i danni che il fegato potrebbe subire se esposto a fattori di vario tipo come infezioni virali, consumo eccessivo di alcol e una dieta ricca di grassi e zuccheri. "Prove epidemiologiche, sperimentali e cliniche suggeriscono – scrivono gli autori dell'articolo – che il consumo regolare di caffè riduce il rischio di malattie epatiche e rallenta la loro progressione verso fibrosi, cirrosi e carcinoma epatocellulare", ovvero il tumore maligno che si forma a partire dalle cellule epatiche e rappresenta uno dei carcinomi epatici più comuni.

Come funziona il fegato

Il fegato è fondamentale per l'autoregolazione dell'intero organismo, svolgendo la funzione di centro del metabolismo del corpo: svolge infatti "numerose funzioni non solo utili alla digestione degli alimenti – spiega il sito della Fondazione Humanitas – ma anche alla difesa dell’organismo e all’eliminazione delle sostanze tossiche". Tra le sue funzioni ci sono la produzione di bile, la sintesi e conversione dei nutrienti e l'inattivazione delle tossine.

I rischi del danno epatico

Inoltre, il fegato, grazie a particolari cellule, ha la capacità di autorigenerarsi, in seguito a traumi o interventi chirurgici. Tuttavia, uno stato di infiammazione cronica può portare il danno epatico a trasformarsi in fibrosi epatica e cirrosi, due condizioni che – spiegano gli autori della revisione – possono portare a disfunzione epatica irreversibile e gravi complicazioni, come l’ipertensione portale, ovvero l'aumento della pressione sanguigna nella vena porta che trasporta il sangue dal tratto digestivo al fegato, e il carcinoma epatocellulare.

Per questo è fondamentale prevenire l’infiammazione cronica, che può dipendere da una serie di fattori anche piuttosto variegata, tra cui: infezioni virali, alcol, un eccessivo consumo di zuccheri e grassi, esposizione a sostanze tossiche o droghe, e malattie pregresse come le patologie autoimmuni.

Il ruolo del caffè

In che modo quindi il consumo regolare di caffè può proteggere il fegato dall’infiammazione cronica e dagli altri eventuali meccanismi patogenici che possono causare danni epatici?

Mettendo insieme una grande mole di studi condotti in materia, anche gli autori di questa revisione della letteratura sono giunti alla conclusione che il consumo regolare di caffè è associato a una protezione significativa del fegato, riducendo il rischio di malattie epatiche e rallentando la progressione verso fibrosi, cirrosi e carcinoma epatocellulare. Precedenti ricerche avevano anche suggerito il numero di tazzine di caffè al giorno associato al massimo dei benefici nella maggior parte dei partecipanti.

I composti bioattivi presenti all'interno del caffè sembrano produrre questi importanti effetti agendo su diversi fronti: regolano le risposte cellulari, riducono lo stress ossidativo e favoriscono l’omeostasi metabolica, ovvero l’equilibrio generale dell’organismo.

Inoltre, altri studi suggeriscono che il caffè influenzi in modo positivo la composizione del microbiota intestinale, contribuendo così ai suoi effetti protettivi sul fegato. Infine, il consumo di caffè – si legge nello studio – sembra essere associato a livelli più bassi di enzimi epatici, a minori danni strutturali in pazienti con varie malattie epatiche e a una riduzione della mortalità correlata alle malattie del fegato.

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