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I guariti da Covid grave hanno una memoria immunitaria meno duratura

Lo ha scoperto un team di ricerca dell’Università del Texas che ha confrontato la memoria immunologica indotta dall’infezione grave e dalle forme meno severe di Covid.
A cura di Valeria Aiello
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Con l’emergere di nuove varianti del coronavirus e le incertezze sulla capacità delle nuove forme virali di sfuggire al riconoscimento degli anticorpi indotti dalla vaccinazione o da una precedente infezione, i ricercatori stanno cercando di comprendere quale sia la durata dell’immunità e, soprattutto, di capire in che misura la memoria immunologica possa variare nel tempo.

Sotto la lente di ingrandimento sono finite le cellule B della memoria, un tipo di linfociti che appunto conserva la memoria del patogeno, la cui funzione è quella di produrre anticorpi neutralizzanti nel caso si rientri in contatto con il virus. Un nuovo studio, in particolare, ha rilevato che queste cellule conservano una migliore memoria della proteina Spike nei pazienti che hanno superato una forma lieve o moderata di Covid rispetto a coloro che invece si sono ripresi dalla malattia grave. I guariti da forme severe, in particolare, mostrano una differenza nella qualità della risposta immunitaria, come spiegato dal team di ricerca dietro alla nuova indagine.

Per arrivare a questa conclusione, il gruppo di studiosi, coordinato da Eveline Bunnik dell’Health Science Center dell’Università del Texas a San Antonio, ha analizzato alcuni campioni di sangue di convalescenti a distanza di uno e cinque mesi dall’insorgenza dei sintomi di Covid, osservando che i campioni di quei soggetti che avevano superato una forma meno grave della malattia avevano una maggiore espressione di marcatori associati alla memoria delle cellule B rispetto ai sopravvissuti alla malattia grave. In questi pazienti, riportano gli autori nello studio pubblicato su Plos One, i marcatori (che includono T-bet e FcRL5) sono quasi scomparsi a cinque mesi e, nel complesso, nei casi più gravi è stata osservata una risposta delle cellule B “più disfunzionale”.

Le forme meno gravi di Covid, precisano i ricercatori, sono stati definite come i casi non richiedenti ossigeno supplementare o ventilazione invasiva, a differenza dei casi gravi che hanno invece richiesto ventilazione meccanica invasiva o ossigenazione extracorporea a membrana (ECMO).

La definizione di malattia grave è stata fatta sulla base della necessità di ventilazione meccanica o ECMO, perché questo distingue i pazienti più critici, che hanno maggiori probabilità di sviluppare risposte immunitarie compromesse – ha affermato l’infettivologo e autore senior dello studio, Thomas Patterson – . La riduzione della percentuale di cellule B associate a un’immunità di lunga durata nei pazienti sopravvissuti a Covid grave può avere conseguenze sul rischio di reinfezione o la gravità della malattia risultante”.

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