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Cambiamenti climatici

Fertilizzare gli oceani per combattere i cambiamenti climatici: come funziona l’idea dei ricercatori

Un team di ricerca suggerisce di fertilizzare l’oceano con nanoparticelle a base di ferro per catturare la CO2 dall’atmosfera e trasferirla negli abissi.
A cura di Andrea Centini
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Credit: Stephanie King | Pacific Northwest National Laboratory
Credit: Stephanie King | Pacific Northwest National Laboratory
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Per combattere i cambiamenti climatici un gruppo di ricerca suggerisce di fertilizzare gli oceani con nanoparticelle a base di ferro. Questi composti, infatti, possono favorire la crescita del fitoplacton – l'insieme di microorganismi autotrofi fotosintetizzanti che vivono nell'acqua marina – che a sua volta ha la capacità di catturare grandi quantità di anidride carbonica (CO2), "strappandola" dall'atmosfera. Il principio di base è semplice: più fitoplancton c'è, maggiori sono le concentrazioni di carbonio atmosferico che l'oceano può estrarre e trasferire negli abissi, una volta deceduti i microorganismi che lo assorbono. In pratica, grazie a queste nanoparticelle, si potrebbe aumentare la capacità di assorbimento di CO2 da parte dell'oceano, che assieme alle foreste già ne accumula la maggior parte.

A descrivere questa affascinante procedura di biogeodinamica è un team di ricerca internazionale guidato da scienziati americani del Pacific Northwest National Laboratory di Richland, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Earth Surface Science Institute – School of Earth and Environment dell'Università di Leeds (Regno Unito), della Facoltà di Ingegneria dell'Università Naresuan di Phitsanulok (Thailandia), della Arnold School of Public Health dell'Università della Carolina del Sud e di altri istituti. Gli scienziati, coordinati dal professor Michael F. Hochella jr., docente presso l'Earth Systems Science Division, Energy and Environment Directorate dell'ateneo statunitense, hanno analizzato i dati di oltre 120 studi dedicati all'applicazione di nanoparticelle ingegnerizzate (ENP), rilevando che alcune combinazioni sono potenzialmente idonee alla fertilizzazione di mari e oceani.

Distribuendo questi composti, infatti, sarebbe possibile catalizzare la crescita delle microalghe oceaniche tra il 35 e oltre 700 percento, entro limiti che non arrechino danni agli ecosistemi. Troppo “fertilizzante”, infatti, esattamente come avviene con quelli utilizzati per coltivare il terreno, determinerebbe effetti tossici e controproducenti. “L'idea è di aumentare i processi esistenti. Gli esseri umani hanno fertilizzato la terra per coltivare i raccolti per secoli. Possiamo imparare a fertilizzare gli oceani in modo responsabile”, ha dichiarato il professor Hochella in un comunicato stampa. Questa abbondanza di nanoparticelle aumenterebbe in modo significativo il sequestro di CO2, il principale dei gas serra derivati dalle emissioni antropiche e catalizzatore dei cambiamenti climatici. La rimozione attiva del carbonio permetterebbe così di raffreddare la "febbre" del pianeta e scongiurare le conseguenze più drammatiche delle temperature in aumento.

Un tempo, prima dell'epoca baleniera, gli escrementi rilasciati dalle balene favorivano naturalmente la crescita delle microalghe; si stima che da soli i grandi cetacei potessero favorire la cattura di 2 milioni di tonnellate di CO2. Oggi la loro capacità è ridotta di un decimo, a causa dello sterminio sistematico perpetrato durante la caccia commerciale. Col metodo della fertilizzazione, in parole semplici, si ripristinerebbe in modo artificiale un processo naturale che è stato annientato dall'uomo. “Per combattere l'aumento delle temperature dobbiamo ridurre i livelli di CO 2 su scala globale. Esaminare tutte le nostre opzioni, compreso l'utilizzo degli oceani come pozzo di assorbimento di CO2, che ci offre le migliori possibilità di raffreddare il pianeta”, ha dichiarato il professor Hochella.

fitoplancton
Credit: Stephanie King | Pacific Northwest National Laboratory

Una simile operazione avrebbe comunque un costo non indifferente, inoltre prima di agire gli scienziati devono essere assolutamente sicuri che un simile processo non danneggi in alcun modo gli ecosistemi. Le preoccupazioni principali sono per gli animali che vivono sui fondali, che potrebbero essere “ricoperti” da strati di queste nanoparticelle. L'idea degli scienziati è usarle in diverse composizioni in base all'area di interesse (ad esempio con più ferro o più silicio, laddove necessario), per garantire la massima efficacia e il minor impatto ambientale possibile. “La valutazione del ciclo di vita e le analisi dei costi suggeriscono che la  la cattura della CO2 è possibile ad opera di nanoparticelle ingegnerizzate (ENP) di ferro, SiO 2 e Al2O 3 con costi di 2 – 5 volte superiori a quelli della fertilizzazione artificiale dell'oceano (AOF) convenzionale, mentre l'aumento dell'efficienza dell'AOF da parte delle ENP dovrebbe migliorare sostanzialmente la cattura netta di CO2 e ridurre questi costi”, hanno scritto Hochella e colleghi.

Siamo sulla soglia del collasso climatico e qualunque opzione sicura per l'ambiente ed efficace dovrà essere vagliata dagli esperti, compresa la biogeodinamica basata sulla fertilizzazione dell'oceano per favorire l'esplosione di fitoplancton. I dettagli della ricerca “Potential use of engineered nanoparticles in ocean fertilization for large-scale atmospheric carbon dioxide removal” sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Nanotechnology.

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