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Creata plastica rivoluzionaria che si degrada nel terreno e in mare e non rilascia microplastiche

Ricercatori giapponesi e olandesi hanno sviluppato un’innovativa plastica biodegradabile che si decompone anche in mare senza rilasciare microplastiche. È stabile, resistente, facilmente riciclabile e non rilascia composti tossici e anidride carbonica una volta nell’ambiente, rappresentando una possibile svolta nella lotta all’emergenza globale dell’inquinamento da plastica.
A cura di Andrea Centini
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I ricercatori hanno creato una plastica rivoluzionaria resistente, stabile e riciclabile che si degrada anche nell'acqua marina in composti metabolizzabili e non tossici, senza produrre le famigerate microplastiche. Ciò potrebbe rappresentare una svolta epocale nella lotta all'inquinamento da plastica, un'emergenza globale che sta compromettendo la salute dell'ambiente e, molto probabilmente, anche la nostra, proprio attraverso i minuscoli frammenti di materiali plastici che finiscono nel nostro organismo attraverso la catena alimentare e l'aria che respiriamo. Secondo vari studi, infatti, ogni anno ciascuno di noi ingerisce e inala mezzo chilogrammo di plastica ogni anno; microplastiche e nanoplastiche che si accumulano praticamente in ogni tessuto e organo del nostro corpo.

Questi detriti stati trovati ovunque, dal sangue al cervello, passando per liquido seminale, placenta, reni, cuore, pene e persino embrioni (dove persistono fin dopo la nascita). Gli effetti sulla salute non sono ancora pienamente compresi ma si ritiene che possano essere molteplici e severi. E non dobbiamo dimenticare la strage di animali che scambiano la plastica per prede e muoiono in modo atroce, come uccelli, cetacei, tartarughe marine e moltissimi altri. Un recente studio ha osservato che solo i tardigradi sono “immuni” alle microplastiche, mentre un altro le ha rilevate addirittura nel respiro dei delfini. Avere a disposizione una plastica che si degrada nell'acqua marina senza lasciare queste minuscole trappole comporterebbe benefici enormi, ecco perché la nuova ricerca è così importante.

A mettere a punto la plastica biodegradabile anche in acqua marina è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati giapponesi della Facoltà di Ingegneria dell'Università di Tokyo e del Centro RIKEN per la scienza dei materiali emergenti (CEMS), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Laboratorio di chimica macromolecolare e organica dell'Università tecnologica di Eindhoven (Paesi Bassi). I ricercatori, coordinati dal professor Takuzo Aida del CEMS e del Dipartimento di Chimica e Biotecnologia presso l'ateneo nipponico, hanno creato il nuovo materiale concentrandosi sulle plastiche supramolecolari, ovvero “polimeri con strutture tenute insieme da interazioni reversibili”, come spiegato in un comunicato stampa del RIKEN.

Per sviluppare la nuova plastica che si decompone in mare hanno unito due monomeri ionici “che formano ponti salini reticolati”, l'esametafosfato di sodio (un additivo alimentare) e varie combinazioni a base di ioni guanidinio. Il primo dei due può essere sostituito anche da altri polisaccaridi solfatati. Questi composti non solo garantiscono stabilità, resistenza e flessibilità alla plastica – che può risultare dura come quella di un cruscotto o morbida come la gomma, in base alla forma ionica impiegata -, ma possono essere facilmente degradati dai batteri, sia nel terreno che in acqua marina.

Essi, infatti, formano ponti salini irreversibili se non sono esposti a determinati agenti come gli elettroliti presenti nell'acqua di mare. “Mentre si pensava che la natura reversibile dei legami nelle plastiche supramolecolari le rendesse deboli e instabili, i nostri nuovi materiali sono esattamente l'opposto”, ha spiegato il professor Aida. Questa plastica supramolecolare offre molteplici benefici, al di là di quelli squisitamente pratici in termini di resistenza, stabilità, flessibilità e durevolezza: non è tossica; rilascia elementi fertilizzanti come azoto e fosforo nell'ambiente; non è infiammabile; non emette anidride carbonica (CO2); può essere stampata in 3D; è utilizzabile anche in mezzi acquosi attraverso un rivestimento idrofobico di parilene; si ricicla facilmente (i ricercatori hanno recuperato oltre il 90 percento dell'esametafosfato e l'82 percento del guanidinio); è una termoplastica facilmente modellabile a 120 °C; oltre che in acqua marina si degrada anche nel terreno in soli dieci giorni; non rilascia microplastiche.

“Con questo nuovo materiale abbiamo creato una nuova famiglia di plastiche resistenti, stabili, riciclabili, in grado di svolgere molteplici funzioni e, cosa importante, che non generano microplastiche”, ha chiosato il professor Aida. A questo punto ci sono solo due questioni da non sottovalutare: innanzitutto, trattandosi di un materiale sperimentale, è fondamentale conoscerne i costi di produzione (uno dei benefici della plastica derivata dal petrolio risiede proprio nel basso costo su larga scala, un'arma a doppio taglio); in secondo luogo va tenuto presente che tra i principali elementi inquinanti in mari e oceani vi è l'attrezzatura da pesca, che chiaramente non può dissolversi a contatto con l'acqua marina, perlomeno non in tempi rapidi. Per comprendere la natura del problema, basti sapere che ogni anno nell'acqua marina finisco reti e lenze sufficienti per avvolgere la Terra ben 18 volte. I dettagli della ricerca “Mechanically strong yet metabolizable supramolecular plastics by desalting upon phase separation” sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Science.

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