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Covid, oltre 1 milione di ratti positivi a New York: rischio nuove varianti e “spillback”

Il 16,5% di ratti catturati a New York è risultato positivo al coronavirus. Ciò significa che potrebbero oltre 1,3 milioni di roditori potrebbero essere stati infettati dal virus della Covid. Quali sono i rischi.
A cura di Andrea Centini
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Un nuovo studio ha determinato che a New York oltre 1 milione di ratti potrebbe essere positivo al coronavirus SARS-CoV-2, il patogeno responsabile della pandemia di COVID-19. La stima deriva dalla percentuale di roditori catturati e trovati positivi durante un'indagine ad hoc, proiettata sul numero totale di ratti che vive nella Grande Mela (circa 8 milioni). I ricercatori hanno anche determinato che questi animali sono suscettibili alle varianti Alpha, Delta e Omicron, tre delle cinque varianti di preoccupazione segnalate dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Il rischio principale risiede nelle mutazioni che il virus può sviluppare mentre circola tra gli animali, dando vita a nuove varianti che potenzialmente possono saltare all'uomo, attraverso il fenomeno noto come spillback. Ad oggi il salto di specie dall'uomo all'animale e di nuovo all'uomo è stato dimostrato solo in un allevamento di visoni in Danimarca; gli scienziati ritengono infatti che si tratti di un meccanismo molto raro. Ma il numero enorme di roditori nei grandi centri urbani e le molteplici occasioni di contatto con le persone alimentano questo rischio.

A determinare che oltre 1 milione di ratti di New York City potrebbe essere positivo al virus della Covid è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati dell'Università del Missouri, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Ramo Malattie Virali del Walter Reed Army Institute of Research, dell'Università di Yale e dell'USDA APHIS Wildlife Services. Gli scienziati, coordinati dal professor Xiu Feng Wan, direttore presso il Center for Influenza and Emerging Infectious Diseases dell'ateneo del Missouri, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto due indagini distinte. Nella prima hanno testato campioni biologici di ratti catturati nella Grande Mela, principalmente nei pressi dei sistemi fognari e nei parchi, mentre nella seconda hanno verificato in laboratorio la suscettibilità dei roditori a diverse varianti del SARS-CoV-2.

Per quanto concerne i test sui ratti, tra settembre e ottobre del 2021 gli addetti del Servizio di ispezione per la salute degli animali e delle piante (APHIS) presso il Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) hanno raccolto e analizzato 79 esemplari, al fine di rilevare la positività agli anticorpi IgM e IgG (neutralizzanti). Ben 13, il 16,5 percento, sono risultati positivi al coronavirus SARS-CoV-2. Nello specifico, a un ceppo di tipo B che circolava tra le persone all'inizio della pandemia. Proiettando questa percentuale sull'intera popolazione di ratti marroni o ratti norvegesi (Rattus norvegicus) che vive a New York, cioè 8 milioni di animali, il professor Wan e colleghi hanno determinato che circa 1,3 milioni di roditori potrebbero essere positivi nella città.

I diffusissimi ratti norvegesi potrebbero essere entrati in contatto con virus attraverso le acque reflue, con fomiti (oggetti e cibo contaminati) o per via aerea, frequentando le abitazioni di persone infettate. È noto sin dall'inizio della pandemia che diverse specie di animali in contatto con esseri umani positivi si contagiano: fra esse cani, gatti, visoni, tigri, leoni, leopardi, scimmie e cervi. Per rendersi conto di quanto esponiamo le altre specie al virus, basti sapere che ben l’82,5 percento dei cervi dalla coda bianca o cervi della Virginia testati per il coronavirus è risultato positivo in uno studio condotto nel 2021, sia tra i selvatici che tra quelli in cattività.

Il rischio principale di questa diffusione, come indicato, è lo spillback, cioè il passaggio del virus dall'uomo all'animale e il ritorno all'uomo, magari in una forma mutata più aggressiva e trasmissibile. Ad oggi, comunque, c'è scarsa evidenza di questo fenomeno, ma il fatto che così tanti roditori possano essere positivi non è da sottovalutare. A maggior ragione se si pensa che sono suscettibili alle varianti Alpha, Delta e Omicron, come dimostrato nella seconda parte dello studio americano, durante il quale sono stati esposti ratti selvatici di tipo Sprague Dawley (SD) alle particelle virali. Gli animali si sono infettati e hanno manifestato sintomi respiratori tipici della COVID-19. I dettagli dello studio “SARS-CoV-2 Exposure in Norway Rats (Rattus norvegicus) from New York City” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica mBio della mBio dell'American Society for Microbiology.

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