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Cosa può provocare l’Alzheimer, nuove prove mostrano che la malattia si trasmette con alcune procedure mediche

Il morbo di Alzheimer potrebbe essere una conseguenza di alcune procedure mediche: lo suggeriscono i risultati di alcuni studi su modelli preclinici, secondo cui la malattia può essere trasmessa attraverso i trapianti di cellule staminali del midollo osseo.
A cura di Valeria Aiello
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Il morbo di Alzheimer, la forma di demenza più comune, che provoca problemi di memoria, pensiero e comportamento, potrebbe essere trasmessa attraverso alcune procedure mediche. Lo suggeriscono i risultati di alcuni studi su modelli preclinici, che mostrano come la malattia possa essere una conseguenza dei trapianti di cellule staminali del midollo osseo.

Nello specifico, i ricercatori hanno osservato che le cellule staminali di topi ingegnerizzati per portare una mutazione genetica associata all’Alzheimer possono causare un rapido sviluppo dei sintomi del declino cognitivo e delle caratteristiche patologiche della malattia quando trapiantate in topi sani. I risultati di questi esperimenti sono stati riportati in un articolo di ricerca appena pubblicato sulla rivista Stem Cell Reports.

Quali procedure mediche possono trasferire i geni dell’Alzheimer

Il rischio di malattie iatrogene, cioè quelle che derivano come conseguenza di procedure mediche come il trapianto di tessuti e organi, terapie con cellule staminali, trasfusioni di sangue e somministrazione di derivati dal sangue, è raro ma rappresenta una preoccupazione crescente in relazione a patologie le cui cause non sono ancora chiarite, come l’Alzheimer.

Cosa possa provocare l’Alzheimer non è infatti completamente noto, sebbene la ricerca abbia individuato alcune anomalie genetiche, legate in particolare a una proteina, chiamata precursore della beta amiloide (APP) che, per ragioni non ancora conosciute, inizia ad essere metabolizzata in modo alterato, portando alla formazione di una sostanza neurotossica (la beta amiloide) che si accumula nel cervello. Ciò determina la morte neuronale progressiva, causando un deterioramento irreversibile delle funzioni cognitive, come memoria, pensiero e linguaggio, fino a compromettere l’autonomia e la capacità di compiere le normali attività giornaliere.

Queste anomalie genetiche, che rendono parte dei casi di Alzheimer (5%) una malattia ereditaria (ereditarietà autosomica dominante) – il restante 95% dei casi si manifesta in modo “sporadico”, in persone senza una chiara familiarità con la patologia – potrebbero tuttavia essere trasmesse anche attraverso alcune procedure mediche, come osservato dagli studiosi che hanno identificato “una forma trapiantabile di malattia di Alzheimer” in modelli preclinici.

Cosa dice il nuovo studio sulle forme “trasmissibili” di Alzheimer

I ricercatori hanno osservato che le cellule staminali del midollo osseo di topi ingegnerizzati per portare una mutazione associata alla malattia di Alzheimer (un transgene mutante della proteina precursore dell’amiloide umana, APP) possono causare un rapido sviluppo delle caratteristiche patologiche della malattia quando trapiantate in topi sani.

Queste caratteristiche patologiche includevano la compromissione dell’integrità della barriera emato-encefalica, un’accresciuta neoangiogenesi vascolare cerebrale, elevati livelli di beta-amiloide associati al cervello e deterioramento cognitivo. Dagli esperimenti è inoltre emerso che i sintomi del declino cognitivo si sono presentati rapidamente, manifestandosi appena 6 mesi dopo il trapianto.

Contrariamente alle convinzioni prevalenti riguardo l’Alzheimer, secondo cui si verifica esclusivamente in forme familiari o sporadiche, il nostro studio rivela un’inaspettata forma trapiantabile di Alzheimer in un modello preclinico, suggerendo una potenziale trasmissione iatrogena nei pazienti con Alzheimer” spiegano i ricercatori, guidati da Wilfred Jefferies della British Columbia University di Vancouver, in Canada.

“Di conseguenza – concludono gli studiosi – le nostre osservazioni sostengono il sequenziamento genomico dei campioni dei donatori prima delle terapie di trapianto di tessuti, organi o cellule staminali, nonché delle trasfusioni di sangue e della somministrazione di prodotti derivati dal sangue, per mitigare il rischio di malattie iatrogene”.

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