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Covid 19

Cosa ha scoperto sul Covid il primo studio che ha contagiato intenzionalmente le persone

L’esperimento è stato condotto nel Regno Unito ed è stato il primo seguire tutte le fasi dell’infezione da coronavirus Sars-Cov-2 negli umani.
A cura di Valeria Aiello
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Particelle di Sars-Cov-2 / NIAID
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Dal contagio alla comparsa dei primi sintomi di Covid, fino all’eliminazione del virus: a descrivere le diverse fasi dell’infezione da coronavirus Sars-Cov-2 è un nuovo studio clinico, il primo al mondo ad aver infettato intenzionalmente volontari sani, reclutati in una storica sperimentazione condotta nel Regno Unito nell’ambito del programma Human Challenge, una partnership tra l’Imperial College London, la Vaccine Taskforce and Department of Health and Social Care (DHSC), la società di sperimentazione clinica di malattie infettive hVIVO (parte di Open Orphan) e il Royal Free London NHS Foundation Trust. L’indagine, non ancora sottoposta a revisione paritaria e anticipata sul server prestampa Research Square, ha rivelato alcune informazioni molto interessanti, in particolare sul periodo di incubazione, sulla diffusione virale attraverso il naso nonché sull’affidabilità dei test rapidi, con potenziali implicazioni nelle politiche di salute pubblica.

I partecipanti allo studio, 34 volontari sani di età compresa tra i 18 e i 30 anni, non vaccinati contro il Covid e senza alcuna precedente infezione da Sars-Cov-2, sono stati esposti a una bassa dose di virus (equivalente all’incirca alla quantità trovata in un singolo droplet di liquido nasale dei positivi al massimo dell’infezione), introdotta tramite goccioline all’interno nel naso, e poi attentamente monitorati dal personale clinico in un ambiente controllato per un periodo di due settimane.

Diciotto dei partecipanti, circa il 53%, hanno contratto l’infezione, 16 dei quali hanno sviluppato sintomi da lievi a moderati, simili a quelli di un raffreddore, tra cui naso chiuso o che cola, starnuti e mal di gola. Alcuni hanno riportato anche mal di testa, dolori muscolari/articolari, stanchezza e febbre. Nessuno ha sviluppato sintomi gravi, né sono stati osservati segni di polmonite. In tredici hanno riferito di aver perso temporaneamente il senso dell’olfatto (anosmia). Questo disturbo si è risolto entro 90 giorni in tutti i partecipanti, tranne che in tre casi, che hanno invece mostrato un miglioramento dopo tre mesi.

Pur trattandosi di un piccolo gruppo di volontari che ha rispecchiato le caratteristiche dell’infezione da Sars-Cov-2 in giovani adulti, lo studio ha evidenziato con buona approssimazione che il tempo medio dalla prima esposizione alla rilevazione virale fino ai primi sintomi (periodo di incubazione) è stato di 42 ore, il che è significativamente più breve rispetto alle stime esistenti che sono di 5-6 giorni. Dopo questo periodo, i volontari hanno mostrato un forte aumento della carica virale, riscontrata nei tamponi prelevati dal naso o dalla gola, e che la carica virale ha raggiunto il picco in media dopo 5 giorni, sebbene livelli elevati di virus vitale (infettivo) siano stati riscontrati anche nove giorni dopo l’esposizione al virus e, in alcuni casi, fino a un massimo di 12 giorni, a supporto dei periodi di isolamento generalmente raccomandati per i non vaccinati.

I ricercatori hanno rilevato anche alcune differenze riguardo la carica virale presente nel naso e nella gola. Nonostante livelli significativi di virus siano stati rilevati prima nella gola e poi nel naso (dopo 40 ore nella gola rispetto a 58 ore nel naso), nel naso hanno raggiunto un picco più alto, indicando un rischio potenzialmente maggiore di diffusione attraverso il naso rispetto alla bocca.

Riguardo invece i test rapidi, ovvero quelli a flusso laterale (LFT) per rilevare la presenza dell’antigene, gli studiosi hanno osservato che sono un buon indicatore dell’infezione, anche se meno efficaci all’inizio e alla fine dell’infezione, ovvero quando la carica virale è più bassa. “Nel complesso – ha affermato il professor Christopher Chiu, capo investigatore dello studio – abbiamo osservato che i test del flusso laterale si correlano molto bene con la presenza di virus infettivi, anche se nel primo giorno o due di infezione potrebbero essere meno sensibili. Ma utilizzandoli correttamente e ripetutamente, e agendo in base a loro risultati, possono avere un impatto importante sull’interruzione della catena di trasmissione”.

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