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Cosa dice lo studio usato per cancellare il diritto all’aborto negli USA: è stato mal interpretato

Tra i motivi che hanno portato alla cancellazione del diritto all’aborto negli USA ci sono i risultati di uno studio sul dolore fetale mal interpretati.
A cura di Andrea Centini
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Venerdì 24 giugno 2022 è una data che resterà impressa per sempre come una macchia nella storia degli Stati Uniti d'America. Con un colpo di spugna preannunciato all'inizio di maggio, infatti, la Corte Suprema ha cancellato la storica sentenza Roe v. Wade del 1973, grazie alla quale era stato sancito il diritto costituzionale all'aborto. Un passo in avanti fondamentale per la tutela dei diritti della donna anche in ambito riproduttivo, che ha fatto scuola in Occidente per mezzo secolo. Ora, a causa dell'anacronistica decisione dei giudici ultraconservatori piazzati dall'ex presidente Donald Trump, questa sentenza è stata ribaltata – dopo attacchi ai fianchi andati avanti per anni – e negli USA si è compiuta una capovolta clamorosa. Non a caso diversi Stati hanno immediatamente recepito la sentenza stabilendo l'illiceità dell'aborto sul proprio territorio, mentre in altri questo diritto violato è ancora fortemente garantito. Ciò, di fatto, ha spaccato in due il Paese a stelle e strisce. Ma come si è arrivati a una simile sentenza, in grado di scuotere le coscienze e spingere moltissimi vip e politici (il presidente Joe Biden compreso) a sottolinearne la mostruosità? Tra i motivi che hanno portato allo smantellamento della Roe v. Wade vi è anche l'errata interpretazione dei risultati di studi scientifici sul dolore fetale, una leva impropria utilizzata innanzitutto dagli avvocati anti-abortisti dello stato americano del Mississippi, che intendevano vietare l'aborto dopo 15 settimane di gestazione. Ma procediamo con ordine.

Nel 2010 e nel 2016 il neuroscienziato italiano Giandomenico Iannetti, per moltissimi anni esperto del dolore presso il prestigioso University College di Londra, ha pubblicato due articoli nei quali ha analizzato il modo in cui il cervello risponde al dolore. Nella ricerca “A multisensory investigation of the functional significance of the ‘pain matrix'” pubblicata su Neuroimage il suo team fa riferimento a un segnale cerebrale chiamato “matrice del dolore”, indagato attraverso la risonanza magnetica funzionale (fMRI). Tale segnale è stato impropriamente associato all'esperienza del dolore vera e propria nello studio “Reconsidering fetal pain” pubblicato sul British Medical Journal nel 2020. Nel controverso articolo guidato dal professor Stuart WG Derbyshire dell'Università Nazionale di Singapore, nel quale vengono citati i lavori del professor Iannetti, a causa della cattivai interpretazione si arriva a ipotizzare l'esistenza del dolore fetale prima della 24esima settimana di gestazione. In parole semplici, si suggerisce che per provare dolore potrebbe non essere indispensabile la corteccia cerebrale, che assieme ai tratti talamocorticali diventa funzionale proprio a partire dalla 24esima gestazione (secondo la neuroscienza sono una sorta di spartitraffico per provare il dolore). Ma lo studio di Iannetti non dice assolutamente che il feto può provare dolore prima di tale soglia.

Gli avvocati antiabortisti hanno preso a piè pari l'errata interpretazione del lavoro del neuroscienziato italiano da parte di Derbyshire e l'hanno portata in tribunale nella causa Dobbs v Jackson Women's Health Organization, che come indicato intendeva vietare l'aborto nel Mississippi dopo le 15 settimane. Questo proprio perché il feto avrebbe “provato dolore” già prima della formazione della corteccia cerebrale funzionale. Tale dibattito si è poi inevitabilmente infiltrato nella decisione della Corte Suprema, che ha portato al definitivo ribaltamento della Roe v. Wade. Il professor Iannetti non era a conoscenza del fatto che i suoi studi fossero usati per fini politici con l'obiettivo di abbattere la storica sentenza del 1973, fino al momento in cui i colleghi statunitensi non l'hanno contattato per avvisarlo.

Nonostante lo shock e la rabbia per un uso così distorto e subdolo dei suoi lavori, per lo scienziato non è affatto semplice far sentire la propria voce. “Non c'è molto altro che posso fare per impedire alle persone di affermare che il mio lavoro dice qualcosa che non dice”, aveva dichiarato al Guardian il professor Iannetti, quando all'inizio di maggio fu anticipata la decisione della Corte Suprema. Per lo scienziato le conclusioni di Derbyshire sul suo lavoro sono un “salto ingiustificato” che gli avvocati antiabortisti hanno usato a piacimento per i propri scopi. “I miei risultati non implicano affatto che la corteccia non sia necessaria per provare dolore. Sento che sono stati interpretati male e usati in un modo molto furbo per dimostrare un punto di vista”, ha chiosato Iannetti, aggiungendo di sentirsi addolorato per il fatto che il suo lavoro “sia stato interpretato male e che sia diventato uno degli argomenti fondamentali” per contrastare il diritto all'aborto delle donne.

La comunità scientifica si è apertamente schierata con Iannetti e numerosi luminari supportano la sue tesi. “Non ci sono basi razionali per sostenere che un feto possa soffrire di dolore prima delle 24 settimane”, ha affermato al Guardian la professoressa Vania Apkarian, direttrice del Center for Translational Pain Research presso la Feinberg School of Medicine di Chicago, che per decenni ha studiato i meccanismi biologici del dolore. A 24 settimane, specifica l'esperta, “l'anatomia del cervello non è abbastanza formata perché ciò sia possibile”. La scienziata sottolinea che “il feto è in uno stato essenzialmente simile al sonno nell'utero”. Ma gli avvocati antiabortisti nella causa del Mississippi hanno continuato comunque a sostenere che i feti abortiti prima della 24esima settimana soffrono, un'affermazione tirata fuori solo perché “emotivamente forte”, seppur “totalmente falsa”, ha spiegato la Apkarian.

In conclusione, i risultati di una ricerca sono stati travisati, manipolati, piegati e sfruttati in modo furbo per suffragare le posizioni ultraconservatrici contrarie all'aborto, un uso disdicevole della scienza per fini meramente politici e propagandistici, che avranno un impatto catastrofico sulla vita di milioni di donne americane. Soprattutto quelle con meno disponibilità economiche che non potranno spostarsi negli Stati che garantiscono loro il sacrosanto diritto all'aborto. Come in passato si troveranno ad affrontare gravidanze indesiderate clandestinamente, con enormi rischi sulla loro salute.

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