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Chi fa spesso brutti sogni ha un rischio maggiore di declino cognitivo e demenza, secondo uno studio

Avere incubi settimanali è associato a un rischio di declino cognitivo quattro volte superiore. Gli uomini più esposti delle donne.
A cura di Andrea Centini
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Fare brutti sogni con frequenza è associato a un rischio maggiore di declino cognitivo e demenza. Lo ha dimostrato un nuovo studio che ha seguito persone di mezza età e anziani per diversi anni. Al momento non è chiaro se gli incubi siano un segno della demenza o se sia la demenza in fase iniziale a scatenarli, ad ogni modo risulta un'associazione evidente, pertanto possono essere valutati come un fattore rilevante per il trattamento precoce dei pazienti, con tutti i vantaggi che ne deriverebbero.

A determinare l'associazione tra i brutti sogni e la demenza è stato il professor Abidemi I. Otaiku, docente presso il Dipartimento di Neurologia del Birmingham City Hospital e NIHR Academic Clinical Fellow in Neurology dell'Università di Birmingham (Regno Unito). Il medico è giunto alle sue conclusioni dopo aver analizzato i dati di tre studi statunitensi dedicati alla salute e all'invecchiamento, il Midlife in the United States (MIDUS) per gli individui di mezza età e l'Osteoporotic Fractures in Men Study (MrOS) e lo Study of Osteoporotic Fractures ( SOF) per gli anziani. In tutto sono stati coinvolti 605 adulti con un'età media di circa 50 anni e 2.600 anziani con età pari o superiore ai 79 anni. All'inizio dello studio (basale) nessuno aveva segni di declino cognitivo o demenza. Gli adulti di mezza età sono stati seguiti in media per 13 anni, mentre gli anziani per un periodo di follow-up medio di 5 anni.

Tutti i partecipanti hanno risposto a questionari di vario tipo – fra i quali uno chiedeva la frequenza degli incubi – e sono stati sottoposti esami per valutare la cognizione, come test mnemonici e di linguaggio. Dopo aver incrociato tutti i dati il professor Otaiku ha determinato che una maggiore frequenza di brutti sogni risultava associata “in modo lineare e statisticamente significativo” a un rischio più elevato di declino cognitivo tra gli adulti di mezza età e alla demenza – come il morbo di Alzheimer – nei soggetti anziani. Gli adulti di mezza età con incubi ricorrenti (settimanali) avevano quattro volte le probabilità di sviluppare il declino cognitivo rispetto a chi non ne aveva, mentre gli anziani che facevano brutti sogni avevano il doppio delle probabilità di avere una diagnosi di demenza nel periodo di studio. Gli uomini risultavano sensibilmente più colpiti delle donne.

“Nel complesso, questi risultati suggeriscono che gli incubi frequenti possono essere uno dei primi segni di demenza, che può precedere lo sviluppo di problemi di memoria e di pensiero di diversi anni o addirittura decenni, specialmente negli uomini”, ha scritto il professor Otaiku in un articolo pubblicato su The Conversation. Se davvero gli incubi fossero uno dei sintomi precoci dell'Alzheimer e di altre forme di demenza si tratterebbe di una buona notizia secondo lo scienziato, perché per gli incubi ricorrenti esistono trattamenti validi. Come evidenziato dallo studio “Prazosin, an α1-adrenoceptor antagonist, prevents memory deterioration in the APP23 transgenic mouse model of Alzheimer's disease”, ad esempio, questi farmaci hanno dimostrato anche di limitare l'accumulo di proteine “appiccicose” (beta amiloide) nel cervello in modelli animali.

Il professor Otaiku continuerà a studiare gli incubi anche nei giovani per approfondire la correlazione con la demenza. I risultati dello studio “Distressing dreams, cognitive decline, and risk of dementia: A prospective study of three population-based cohorts” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica The Lancet.

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