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Cambiamenti climatici

Accordo storico su protezione alto mare, Mariasole Bianco: “Senza oceano temperatura più su di 36°C”

I Paesi dell’ONU hanno approvato un accordo per proteggere il 30% dei mari e degli oceani di tutto il mondo. Fanpage.it ha chiesto alla biologa marina Mariasole Bianco di spiegare il perché si tratta di una decisione storica.
Intervista a Mariasole Bianco
Biologa marina e divulgatrice scientifica esperta in aree marine protette
A cura di Andrea Centini
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La dottoressa Mariasole Bianco
La dottoressa Mariasole Bianco
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Dopo circa 20 anni di aspri negoziati e un dibattito fiume alla conferenza finale durato una quarantina di ore, a marzo 2023 l'ONU ha approvato lo storico accordo “High Seas Treaty”, ovvero il trattato sull'alto mare. In parole semplici, con questo accordo, i Paesi firmatari si impegnano a proteggere il 30 percento degli oceani e dei mari di tutto il mondo, anche nel cuore delle cosiddette acque internazionali, abbracciando ecosistemi marini che fino ad oggi erano praticamente esclusi da ogni forma di tutela, nonostante l'estrema importanza sotto molteplici punti di vista. In pratica, circa un terzo dell'immensa massa d'acqua marina della Terra diventerà un'area protetta entro la fine di questo decennio. Per comprendere meglio il valore e l'importanza di questo accordo, Fanpage.it ha intervistato la biologa marina Mariasole Bianco, divulgatrice scientifica ed esperta di conservazione dell'ambiente marino. La scienziata, specializzata proprio in aree marine protette, è anche presidente e fondatrice di Worldrise, ONLUS espressamente nata per tutelare il Grande Blu. Ecco cosa ci ha raccontato.

Dottoressa Bianco, le commissioni governative ci hanno messo una ventina di anni per trovare questo accordo sull'alto mare. Perché è così importante averlo raggiunto?

Ci sono diverse ragioni. È importante in generale che si sia trovato questo accordo perché è storico sotto tanti punti di vista. Il primo è perché appunto, a livello tempistico ci hanno messo 20 anni. Proprio per la natura dell'accordo stesso, che è un accordo complesso e anche normativo, che in qualche modo doveva trovare un compromesso tra vari interessi. Alcuni di protezione, altri di sfruttamento delle aree marine. Questo accordo ci consente per la prima volta di avere un framework internazionale giuridico che permette di proteggere e regolamentare le attività che si svolgono nell'alto mare. L'alto mare è definito come “acque internazionali”, cioè fuori dalle giurisdizioni dei Paesi. Al momento il sistema legislativo che regolamenta le attività in mare è dato sempre dalla UNCLOS, la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare. Determina ad esempio che le acque territoriali dei Paesi arrivano fino alle 12 miglia nautiche. Dalle 12 miglia nautiche alle 200 miglia nautiche, o all'estensione della piattaforma continentale, le nazioni possono dichiarare una zona economica esclusiva. In essa, praticamente, vige la sovranità del Paese per quanto riguarda soprattutto l'estrazione delle risorse. Siano esse pesca o minerali. Fino ad oggi noi avevamo questo strumento. Adesso col Trattato dell'Alto Mare possiamo avere un nuovo strumento giuridico internazionale che ci consente di proteggere e regolamentare l'attività nelle acque internazionali.

Quindi oltre le 200 miglia

Oltre le 200 miglia nautiche, sì. Queste acque internazionali coprono il 50 percento dell'oceano, quindi un'area vastissima. L'importanza deriva dal fatto che finalmente possiamo avere uno strumento per proteggere anche queste zone. Detto questo, che è un po' il contesto in cui ci muoviamo, perché l'accorso è importante per il 30×30. Sempre a livello di comunità globale, attraverso però un'altra convenzione delle Nazioni Unite – che è quella per la tutela della diversità biologica, la CBD – a dicembre del 2022 dopo due anni di ritardi dovuti al Covid sono stati approvati i nuovi target, cioè i nuovi obiettivi internazionali di protezione degli ecosistemi. E hanno adottato l'obiettivo di proteggere almeno il 30 percento dell'oceano e almeno il 30 percento delle terre emerse entro il 2030. Da qui 30×30.

Il problema è che avendo noi questo mandato e non avendo invece la possibilità di proteggere l'alto mare ci trovavamo in un bel guaio. Perché praticamente gli Stati costieri per arrivare al 30 percento entro il 2030 avrebbero dovuto proteggere il 70 percento delle loro acque territoriali o la zona economica esclusiva, le acque sotto la loro giurisdizione. Cosa che è politicamente ma anche praticamente infattibile. Non si sarebbe mai potuto raggiungere l'obiettivo del 30 percento. Il fatto che adesso possiamo proteggere anche l'alto mare, naturalmente, ci dà lo strumento efficace per raggiungere questo target importante come comunità globale. Con una parte di protezione sicuramente di acque costiere da parte degli Stati costieri, ma anche una parte di mare aperto.

La dottoressa Mariasole Bianco
La dottoressa Mariasole Bianco

Viene in mente il Santuario dei Cetacei Pelagos innanzi al Mar Ligure, che poi non risulta effettivamente e completamente protetto

Sì, ecco, quello è un accordo internazionale. Diciamo che sia Francia che Italia hanno dichiarato la loro zona economica esclusiva e quindi cade quasi tutto sotto la giurisdizione dei Paesi. Prima erano acque internazionali. Il problema delle zone economiche esclusive in un contesto come il Mediterraneo è che si sovrappongono, quindi c'è tutta una parte di negoziazione diplomatica da questo punto di vista.

Perché si è deciso di proteggere proprio il 30 percento di mari e oceani? Da cosa deriva questa percentuale?

Il 30 percento è un obiettivo che ha dato in primis la comunità scientifica. Questo attraverso l'IUCN World Conservation Congress del 2016, cioè il congresso mondiale per la conservazione della natura, in cui la comunità scientifica ha parlato chiaro: se vogliamo salvaguardare la funzionalità e la produttività dell'oceano dobbiamo proteggerne almeno il 30 percento entro il 2030. Basti sapere che dalla funzionalità dell'oceano dipende l'ossigeno che respiriamo. E dalla produttività dell'oceano dipende il cibo che mangiamo. Quindi è nostro interesse tutelare tutto questo. Ha degli impatti sulla nostra esistenza come specie su questo pianeta e su quella di altre milioni di specie. Detto questo, il 30×30, come diciamo noi in gergo tecnico, deve essere rappresentativo.

Ci spieghi

Tu non puoi proteggere il mare e proteggere solo le coste. Perché ci sono ecosistemi diversi in alto mare. Essere rappresentativo vuol dire avere una percentuale di ecosistemi protetti che rappresenta la diversità dei vari ecosistemi. Quindi, se noi sulle coste possiamo proteggere la posidonia oceanica, i coralli di profondità o gli habitat critici per le specie migratorie li possiamo proteggere solo proteggendo l'alto mare. Perché è lì che si trovano. È questa la valenza importantissima a livello biologico ed ecologico.

L'oceano gioca un ruolo significativo nel contesto della crisi climatica, considerata la principale minaccia esistenziale per l'umanità. Perché è così prezioso per difenderci dall'impatto dei cambiamenti climatici?

Perché l'oceano è il nostro più grande alleato nella lotta al cambiamento climatico. E soprattutto nella sua mitigazione. Dalla Rivoluzione Industriale ad oggi l'oceano ha assorbito il 93 percento del calore in eccesso trattenuto in atmosfera dai gas serra. Se l'oceano non ci avesse fornito questo servizio, e quel calore fosse andato nei primi 10 chilometri della nostra atmosfera, la temperatura del nostro pianeta sarebbe di 36° C superiore. Questo fa già capire quanto sia importante avere un ecosistema sano. Questo servizio lo offre per le sue capacità fisiche, ma non assorbe solo il calore, assorbe anche anidride carbonica. Assorbe circa un terzo della CO2 da noi prodotta. Quindi è quello che viene chiamato in inglese un “carbon sink”, cioè una sorta di contenitore di anidride carbonica. Naturalmente questo servizio ha avuto delle conseguenze sulla salute dell'oceano.

Ci faccia qualche esempio

Queste conseguenze si articolano in tre tematiche principali. Una è il riscaldamento delle acque. Noi abbiamo registrato un aumento della temperatura fino a oltre 2.000 metri di profondità. E questo ha un impatto su moltissimi ecosistemi. Pensiamo alle barriere coralline, che con un aumento della temperatura di un solo grado sbiancano. Espellono questa importantissima alga che fa parte del loro scheletro e che gli fornisce il 90 percento del nutrimento; se la situazione non si ripristina la barriera corallina muore. Consideriamo che la barriera corallina è solo uno dei grandi ecosistemi che ci sono nel mare, ma nonostante le barriere coralline occupino meno dell'1 percento dei nostri fondali marini, ospitano il 25 percento delle specie. Ciò significa che una specie su quattro in mare esiste perché esiste la barriera corallina. Perderla vuol dire perdere il 25 percento delle specie. Questo è l'aumento della temperatura.

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La seconda tematica è l'acidificazione dell'oceano. Tutta questa anidride carbonica in eccesso che viene assorbita dal mare e dall'oceano, non essendo immediatamente reperibile per gli organismi per costruire i loro scheletri, si trasforma in acido carbonico. Quindi abbiamo avuto una variazione del pH. Il pH dell'acqua è ancora basico, però l'asticella si sta spostando. In termini di intensità e soprattutto velocità della variazione non avveniva da 14 milioni di anni. Immagini cosa vuol dire variazione della temperatura e del pH di una massa così enorme di acqua. Vuol dire che di impatto e di energia ne abbiamo dovuta mettere davvero tanta.

La terza e ultima tematica è la deossigenazione delle acque. Proprio come conseguenza dell'aumento della temperatura, si crea una stratificazione tra le acque superficiali – che sono più ricche di ossigeno e più calde – rispetto a quelle di profondità, che sono più fredde e povere di ossigeno. Diciamo che l'ossigeno in ambiente marino arriva dalla superficie, per questo le acque superficiali ne sono più ricche. Si è creata una stratificazione che inibisce il riciclo delle acque e quindi la possibilità che le acque ricche di ossigeno arrivino anche in profondità. L'aumento di queste zone, che sono chiamate zone morte perché anossiche, o con una bassa percentuale di ossigeno, impatta su tutti gli organismi marini, perché prendono l'ossigeno da quello disciolto in acqua. Le zone morte praticamente sono aumentate di quattro volte negli ultimi 30 anni in termini di superficie.

A queste zone morte si aggiungono fra l'altro anche quelle derivate dall'inquinamento legato alle acque reflue dell'agricoltura. Come ad esempio quella enorme nel Golfo del Messico, dove sfocia il fiume Mississippi

Esattamente. Quella è un'altra ragione per cui si crea l'eutrofizzazione. Viene a crearsi ad esempio per un apporto da fiumi – come può essere appunto il Mississippi ma anche il nostro Po – di fertilizzanti, che in acqua marina creano un bloom di alghe che poi non vengono mangiate, e quindi, nel loro processo di decomposizione, assorbono l'ossigeno e creano degli ambienti anossici. Il problema è che la deossigenazione non è relativa solo questo. Adesso con la stratificazione dell'oceano questo processo è assolutamente aumentato in maniera esponenziale. Questo desta preoccupazione. Proteggere il mare, come abbiamo detto, consente di dare la possibilità alla natura, a questo ambiente, di rigenerarsi, di riacquisire l'equilibrio che ha perduto. E quindi, come si dice, essere anche più “responsive” – cioè avere una migliore capacità di reagire – a stress interni come per esempio il cambiamento climatico. Per farlo capire, a volte, io dico che funziona un po' come il corpo umano.

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Ci spieghi

Se noi dormiamo poco, mangiamo male, non facciamo attività fisica eccetera, è chiaro che se c'è un influenza in giro ce la becchiamo. Se invece siamo sani, mangiamo bene, dormiamo bene, abbiamo i nostri ritmi, i nostri spazi, i nostri equilibri, magari l'influenza ce la prendiamo lo stesso, ma dopo due giorni siamo a posto. La stessa cosa funziona per gli ecosistemi marini.

L'accordo di protezione dell'alto mare è stato finalmente raggiunto, ma poi si dovrà arrivare a un trattato internazionale vero e proprio. In quanto tempo pensa si possa arrivare al nero su bianco? Il 2030 in fondo è dietro l'angolo.

Adesso è stato trovato l'accordo sul testo. Questo testo diciamo che è stato ripulito e finalizzato e verrà adottato all'assemblea delle Nazioni Unite, se non è già stato fatto. Poi passerà a tutte le nazioni che fanno parte dell'ONU per la firma. La firma avverrà da parte del governo. Dopo la firma deve essere ratificato dal parlamento. Questo processo varia da Paese a Paese. Quindi nel momento in cui verrà ratificato da 60 Paesi, l'accordo entrerà in vigore.

Entro l'anno potremmo riuscire?

No, credo di no. Troppo ottimista. Io però spero che entro la fine del 2024 si arrivi al quorum, diciamo così. Anche perché, comunque, questa ratifica è un processo secondario di tutta la negoziazione fatta prima. L'accordo è già frutto di un negoziato avvenuto tra vari Paesi che è durato una vita. Quindi diciamo che molto probabilmente i Paesi lo firmeranno.

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