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Lo stress da eventi traumatici può aumentare il rischio di Alzheimer, ma solo in determinate età

Un team di ricerca internazionale ha determinato che eventi molto stressanti come lutto e divorzio sono associati a un rischio superiore di sviluppare l’Alzheimer, ma solo se avvengono in determinate fasi della vita. Ecco quali sono.
A cura di Andrea Centini
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Eventi particolarmente traumatici come lutto, divorzio e perdita del lavoro, in grado di innescare stress cronico, sono associati a un rischio superiore di sviluppare l'Alzheimer, la principale forma di demenza al mondo. Secondo un nuovo studio, tuttavia, l'aumento del rischio si verificherebbe solo in determinate fasi della vita, non sempre. In altri termini, diventeremmo più suscettibili alla neurodegenerazione legata all'Alzheimer solo se questi eventi stressanti avvengono in periodi ben definiti, ovvero l'infanzia e la mezza età. Secondo gli scienziati ciò sarebbe dovuto al fatto che, in queste particolari fasi della vita, il nostro cervello va incontro a significativi cambiamenti, ovvero lo sviluppo nei bambini e la comparsa dei primi biomarcatori della demenza durante la mezza età. Il cervello sarebbe dunque più esposto agli effetti negativi delle sostanze chimiche associate allo stress.

A determinare che gli eventi molto stressanti verificatisi durante l'infanzia e la mezza età sono in grado di catalizzare il rischio di Alzheimer è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del Barcelona Institute for Global Health (ISGlobal), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di diversi istituti. Fra quelli coinvolti l'Università Pompeu Fabra (UPF), l'Istituto di Neuroscienze e Fisiologia dell'Università di Göteborg (Svezia), il Barcelonaβeta Brain Research Center (BBRC) e Roche Diagnostics International Ltd (Svizzera). I ricercatori, coordinati dalla dottoressa Eider M. Arenaza-Urquijo, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto uno studio di coorte nel quale hanno indagato sull'associazione tra eventi stressanti e l'accumulo di biomarcatori associati all'Alzheimer (proteina tau e beta amiloide), neuroinfiammazione e volume della materia grigia nel cervello.

Nella ricerca sono state coinvolte circa 1.300 persone con età compresa tra i 48 e i 77 anni, tutti individui “cognitivamente non compromessi e ad alto rischio di malattia di Alzheimer”, come indicato dell'abstract dello studio. Circa 400 partecipanti sono stati sottoposti a puntura lombare per estrazione e analisi del liquido cerebrospinale, nel quale possono essere rilevati i biomarcatori della demenza (che secondo un nuovo studio possono essere osservati ben 18 anni prima della comparsa dei sintomi). In circa 1.200 sono invece stati sottoposti a risonanze magnetiche per analizzare la struttura cerebrale. Tutti hanno ricevuto questionari ad hoc per indicare il periodo in cui hanno vissuto esperienze particolarmente traumatiche e segnanti. Incrociando tutti i dati è emersa un'associazione statisticamente significativa tra gli eventi stressanti verificatisi nell'infanzia e nella mezza età (non in altri periodi) con la presenza di beta amiloide e proteina tau, proteine “appiccicose” che si accumulano nel cervello. Sono strettamente connesse alla neurodegenerazione, che a sua volta sfocia nel declino cognitivo con perdita di memoria, difficoltà nel linguaggio, problemi di orientamento e altre condizioni tipiche della demenza.

È importante sottolineare che i risultati emersi non sono stati lineari. Nelle persone con una storia di malattia psichiatrica, ad esempio, gli eventi stressanti erano associati a maggiori concentrazioni di tau e interleuchina-6; negli uomini tali eventi risultavano associati a una minore concentrazione di beta amiloide e una maggiore di tau; mentre nelle donne sono stati osservati volumi ridotti di materia grigia nelle regioni prefrontali, limbiche, e somatiche dell'encefalo. Secondo gli esperti queste differenze sono legate al fatto che il cervello di maschi e femmine risponde psicologicamente e biologicamente in modo differente innanzi allo stress.

“Mentre è probabile che gli uomini si impegnino in una risposta di tipo “lotta o fuga” allo stress, è stato dimostrato che le donne hanno una “risposta di “tendi e fai amicizia” – accudendo i bambini e facendo affidamento sui social network”, ha spiegato su The Conversation la professoressa Carol Opdebeeck della Manchester Metropolitan University. “Questi risultati suggeriscono che ci sono determinati periodi o condizioni che aumentano gli effetti degli eventi di vita stressanti sullo sviluppo di cambiamenti cerebrali legati alla malattia di Alzheimer, almeno nei soggetti a maggior rischio di malattia”, ha chiosato l'esperta.

È doveroso sottolineare che gli autori dello studio non hanno indagato sulla comparsa dell'Alzheimer vero e proprio, ma sulla presenza di biomarcatori a esso associati come le sopracitate “proteine appiccicose”. In parole semplici, non sappiamo se i partecipanti abbiano sviluppato o meno la diffusa forma di demenza, ma solo che hanno manifestato la comparsa dei segnali predittivi. I dettagli della ricerca “Lifetime Stressful Events Associated with Alzheimer's Pathologies, Neuroinflammation and Brain Structure in a Risk Enriched Cohort” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Annals of Neurology.

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