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Il Museo della ‘ndrangheta diventa il “circolino delle truffe”

Non è un buon momento per il movimento antimafia, in Italia: ora nel registro degli indagati per truffa e falso ideologico finisce Claudio La Camera, storico presidente del Museo (ora Osservatorio) della ‘ndrangheta di Reggio Calabria. Tra gli acquisti (con soldi pubblici) Ipad, ricambi per l’auto e un pollo di gomma. E intanto i detrattori festeggiano.
A cura di Giulio Cavalli
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Non è un buon momento per il movimento antimafia, in Italia: tra professori saccenti, intercettazioni sbagliate e miti decaduti si continua verso un filotto di notizie che diventa una manna per chi da anni si sforza di convincerci che mafia e antimafia sono le facce dello stesso gioco. L'ultima notizia, in ordine di tempo, riguarda il Museo della ‘Ndrangheta (ora Osservatorio) di Reggio Calabria, uno dei tanti "progetti antimafiosi" su cui piovono soldi (oltre che le solite belle parole d'ordinanza) ma non tornano i conti.

I Pubblici Ministeri Gaetano Paci e Giuseppe Lombardo hanno iscritto nel registro degli indagati Claudio La Camera, ex presidente dell'associazione "Antigone – Museo della ‘Ndrangheta" nonché consulente dell'Ufficio delle Nazioni Unite per il Controllo della Droga e la Prevenzione del Crimine: insomma uno con tutti i lustrini per essere annoverato ne "l'antimafia che conta". La Guardia di Finanza ha passato al vaglio tutti i movimenti di denaro del Museo (oggi diventato Osservatorio) scoprendo un business che dal 2007 al 2014 è riuscito a "spostare" quasi un milione di euro.

Ma i soldi sono tanti e i conti non tornano: secondo l'accusa le entrature con funzionari e politici di Provincia e Regione hanno permesso di raccogliere 856.000 euro di cui quasi 500.000 mila sono stati erogati indebitamente. Nel registro degli indagati infatti sono finiti, oltre a dipendenti di Regione e Provincia anche l'ex Presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopellitti (e pare qualche suo ex assessore della Giunta di centrodestra) che avrebbe firmato le delibere contestate. Scopellitti, tra l'altro, giova ricordare che è stato condannato in primo grado a 6 anni di carcere nell'ambito del processo "Fallara".

Ma non basta: tra i soldi ricevuti risulterebbero alcune spese abbastanza "opache" come ad esempio l'impianto di videosorveglianza del Museo (che ha sede in una villa confiscata) che a fronte di un valore di mercato di 30.000 euro sarebbe costato 120.000 euro con una fattura di 99.000 euro a favore dell'azienda "Elettroservice" di Alberto La Camera (un curioso caso di omonimia del cognome del Presidente del Museo) che avrebbe dichiarato, tra l'altro, di averne ricevuti solamente 51.000.

Insomma ancora una volta siamo di fronte all'ennesimo caso di fatture gonfiate, acquisti difficilmente giustificabili (dalle mollette per bucato ai ricambi per auto passando per il semprepresente iPad e addirittura un pollo di gomma) che costituiscono un quadro imbarazzante per la Camera e per le istituzioni così facilmente permeabili.

Ma ciò che conta è che ancora una volta sotto l'etichetta di "antimafia doc istituzionale" probabilmente si è innescato un lurido gioco di ruberie. Non è difficile ipotizzare che ancora una volta la strumentalizzazione della vicenda per dimostrare che l'antimafia è sempre e tutto solo di facciata tardi ad arrivare da parte di chi sa bene che demolire il "movimento antimafia" è la migliore assicurazione di disattenzione per le proprie illecite attività.

Forse sarebbe bello, sarebbe il caso, che davvero esistesse un'aggravante per chi sfrutta indebitamente l'attività antimafiosa per compiere i propri illeciti o forse basterebbe ascoltare il consiglio di Gratteri (storico magistrato calabrese da sempre in prima linea nella lotta alla ‘ndrangheta) che propone da tempo un'antimafia "sociale" che operi senza finanziamenti pubblici. Se ne vedrebbero delle belle. Già. Davvero.

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