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Il bilancio dopo un anno di legislatura: sparisce il Parlamento, decide solo il governo

Esattamente un anno fa si sono tenute le elezioni politiche ed è iniziata la diciottesima legislatura. A 365 giorni di distanza, con la nascita del governo formato da M5s e Lega e guidato da Giuseppe Conte, Open Polis, in collaborazione con Agi, fornisce i dati per fare un bilancio sull’attività parlamentare in questi mesi.
A cura di Stefano Rizzuti
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Tanti decreti legge, tante ratifiche di trattati internazionali e poca discussione, oltre che poche proposte. Questo è il bilancio dopo un anno di legislatura. Sono passati 365 giorni da quando, il 4 marzo del 2018, gli attuali parlamentari sono stati eletti alla Camera e al Senato. Un anno partito in salita, con tempi lunghi per la formazione del governo Conte, formato da Lega e Cinque Stelle. E a tracciare un bilancio sulla produzione legislativa in questi mesi è l’Osservatorio di Openpolis, realizzato con Agi. I dati risalgono, in realtà, a metà febbraio e sono aggiornati al mese di gennaio (compreso). La prima conferma è che i decreti legge hanno monopolizzato l’attività del Parlamento. A gennaio non sono stati approvati decreti in Parlamento, ma il Consiglio dei ministri ne ha varato più di uno: a partire dal decretone su reddito di cittadinanza e quota 100, passando per Banca Carige e per il rinnovo dei consigli degli ordini forensi.

Il mese di gennaio 2019 è stato quello con più leggi approvate dall’inizio della legislatura: sono state sette. Ma nessuna di questa ha richiesto una discussione approfondita o un confronto reale. Si è sempre trattato di ratifiche di trattati internazionali: discussioni quasi azzerate, accordo tra tutti i partiti e ruolo quasi inesistente dei parlamentari. Al contrario a gennaio si è riunito spesso il governo: per Carige, per i decreti collegati alla manovra ma anche per le nomine come quella dell’Istat. Il numero di incontri a Palazzo Chigi è dunque più alto del passato, ma la durata è breve: sei incontri per una durata media di 30 minuti. Spiccano gli otto minuti impiegati per varare il decreto salva-Carige. Nei mesi precedenti la media era più alta, intorno all’ora. Soprattutto a settembre e ottobre.

La durata dei Consigli dei ministri si riduce governo dopo governo, un trend confermato anche durante questa legislatura. Con il Consiglio dei ministri che discute sempre meno dei provvedimenti. Tornando alle leggi approvate, a gennaio si è registrato il record di questa legislatura (sette), con una media più bassa fino a questo momento: si va da una a cinque al mese. Ma è già il terzo mese, in questa legislatura, in cui tutte le leggi approvate altro non sono che ratifiche internazionali.

Il confronto con i governi precedenti

Dall’inizio della legislatura, il 71,43% delle leggi approvate o erano ratifiche di trattati internazionali o conversioni di decreti legge del governo (nel 43% dei casi). Percentuali alte anche rispetto alle ultime legislature, in cui il ricorso eccessivo al decreto legge è stato spesso criticato. Solo un governo – quello guidato da Enrico Letta – ha avuto un dato superiore mettendo insieme i due indicatori: in quel caso eravamo al 73,81%. Gli altri sono ben al di sotto di questa soglia, pensando alle due legislature precedenti: Berlusconi al 65%, Renzi al 65%, Monti al 57% e Gentiloni al 45%. I governi con cui sono state approvate più legge ordinarie sono quelli guidati da Gentiloni, Monti e Berlusconi. Chi ha deciso di ricorrere più volte ai decreti sono invece stati i governi Letta e Conte, con dati nettamente superiori agli altri. Molto inferiori le cifre per Renzi e Gentiloni. Altro dato è quello sulle leggi di bilancio, che incidono molto sul totale dei provvedimenti del governo Conte, meno sugli altri, a dimostrazione di un’attività parlamentare non ingente.

Analizzando l’attività del governo, si prende il numero dei decreti deliberati in Consiglio dei ministri, facendo una media mensile: per Letta sono 2,78, per Monti 2,41 (ma quello era un governo tecnico, con ruolo diverso), per Conte 2,14. Cifre molto superiori a quelle degli esecutivi guidati da Berlusconi, Renzi e Gentiloni. C’è invece un dato positivo: a gennaio il governo non ha mai usufruito del voto di fiducia. Anche se, effettivamente, non avrebbe avuto senso sulle ratifiche di trattati su cui c’è quasi sempre accordo totale in Parlamento. Al contrario, il ricorso alla fiducia è frequente per questo governo quando si tratta di provvedimenti dibattuti e complessi: a novembre due volte e a dicembre cinque. Il tasso di fiducia è quindi molto alto, inferiore solo al governo tecnico di Monti (esecutivo senza una maggioranza reale, essendo guidato da un personaggio fino a quel momento esterno alla politica parlamentare) e a quello Gentiloni. Con dati superiori anche ai governi Letta, Renzi e Berlusconi. Ad oggi la fiducia è stata posta sul 28,57% dei voti. E il dato, peraltro, è basso soprattutto perché molti provvedimenti approvati non erano importanti né necessitavano di grandi dibattiti, come nei casi delle ratifiche dei trattati internazionali.

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