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Opinioni

Gli italiani, l’impotenza appresa e la sindrome del “che fare”

Una manovra senza eguali nella storia repubblicana, una classe dirigente sommersa dagli scandali, una maggioranza di Governo delegittimata dalle ultime consultazioni e palesemente incapace di riformare il Paese: e gli “Italiani”?
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Parrebbe quasi d'obbligo aprire un pezzo del genere con un passaggio sugli indignatos spagnoli e via discorrendo, come a sottolineare, ribadire all'infinito che uno dei problemi del nostro Paese risiede magari nell'incapacità di utilizzare i nuovi media per organizzare la "resistenza", per mettere in circolo il germe della contestazione e per organizzare una risposta coerente ed articolata alle disfunzioni del sistema e alle brutture della politica (quasi che il boom del referendum 2011 costituisca solo un caso sporadico ed isolato).

Così come del resto non sarebbe difficile deviare il discorso sull'assurdità di una manovra che, mentre chiede sacrifici ad enti locali e cittadini, non scalfisce (o lo fa in modo superficiale) caste e potentati, i cui privilegi rappresentano un peso insostenibile non soltanto dal punto di vista economico – finanziario, ma anche da quello morale e per così dire ideologico. E non ci riferiamo solo alla Casta dei 3 milioni al mese spesi per Montecitorio, o alla politica delle mille consulenze e dei millemila incarichi, ma anche all'assurdo logico delle spese per gli armamenti e per l'ossimoro delle missioni di pace, temi che, il perché è fin troppo chiaro, trovano scarsissimi riscontri sui media tradizionali e faticano persino ad emergere nel magma della Rete.

Eppure, lungi dal limitarci alla considerazione che gli "italiani non hanno la forza di scendere in piazza", magari scomodando editorialisti illustri o giovani rampanti della politica italiana ("finchè i loro genitori continueranno a mantenerli i giovani non reagiranno"), crediamo sia necessario fare alcune considerazioni di carattere più generale. Anche perché, che in Italia non esista la capacità di dar vita ad una radicale contestazione politica, sociale e culturale, resta un assunto tutto da dimostrare. Non bastasse la storia passata del nostro Paese, a dimostrarlo potrebbero essere sufficienti le ultime "manifestazioni romane", dal controverso, folle e coraggioso al tempo stesso, sciopero generale della CGIL al Cozza Day di Grillo e Popolo Viola (e il 15 ottobre si replica). Certo, si tratta di una galassia che fa fatica ad emergere, a trovare un collante ed una piattaforma ideale – programmatica in grado di determinare un'incidenza maggiore di rivendicazioni che altrimenti rischiano di evaporare nella demagogia e nella banalità (e non aiuta la semplice caratterizzazione "anti – casta", che tra l'altro non rende giustizia al lavoro, in alcuni casi enorme, sviluppatosi in rete negli ultimi anni).

E allora, come la mettiamo? O meglio: siamo davvero sicuri che il popolo italiano stia assistendo inerte al balletto di cifre, numeri e tagli, angosciato dalla spada di Damocle del default e pronto a rimettere di nuovo la propria volontà nelle mani del demagogo di turno? Siamo certi che la coscienza degli italiani sia ormai completamente assuefatta alle litanie della politica italiana da non essere in grado di indignarsi, reagire, resistere come si sarebbe detto una volta? Eppure, sono in molti a crederlo, sono in molti a considerare il popolo italiano, peraltro non senza una buona dose di realismo, irrimediabilmente (?) sconfitto. Una prospettiva che più volte si è affacciata persino nella mente di chi scrive, anche alla luce di un sempre più lampante "scivolamento della soglia di decenza" della politica italiana. Eppure qualcosa sembra sfuggire ad una siffatta analisi.

Il punto è che ad una attenta considerazione, ciò che manca alla coscienza collettiva non è la volontà di "resistere", di andare oltre una situazione giudicata dai più insostenibile. Tutt'altro: spesso insofferenza e malumore assumono i contorni di una rabbia distruttiva e nichilista, di una volontà escatologica e generalizzante pronta ad azzerare tutto per…

Già, per fare cosa? E in nome di quale ideale, pensiero od utopia? E in che modo? E quando? Con chi? La smania destruens rimbalza inesorabilmente contro il muro del "che fare" e finisce per svilire tutto, per ridurre a malumori generici e deprecabili intolleranze quelle che sono, vale la pena ribadirlo, rivendicazioni sacrosante e pilastri basilari di una qualunque società democratica. E tale consapevolezza è lungi dall'essere lontana dalla percezione comune e finisce con il trasformarsi in una sorta di impotenza appresa, che lentamente rischia di "demotivare e irretire anche gli spiriti più bellicosi e radicali". In effetti, quando (ed è questo il nostro caso) ogni tentativo di uscire da una situazione di palese difficoltà si rivela inutile, quando ogni nostro sforzo viene frustrato e la realtà sembra sempre "ciclicamente immutabile", a livello inconscio cominciamo quasi ad accettare la condizione, convincendoci che "non esiste un sistema che ci consente di prevalere. Apprendiamo di essere impotenti a mutare circostanze negative e a prescindere da ciò che facciamo ci rendiamo conto che gli effetti sono sempre gli stessi, drammaticamente negativi".

Insomma, non sarà che anni di delusioni, di tentativi abortiti, di attese deluse, di fiducia tradita, di fallimenti nella costruzione dell'alternativa, di inutili tentennamenti da parte delle forze progressiste hanno davvero corrotto inesorabilmente i nostri sogni, la nostra speranza di un cambiamento radicale, di un sistema più giusto, di un Paese migliore? Forse. Già, perché per quanto ci si sforzi di concettualizzare, di rappresentare o soltanto di ipotizzare scenari e percorsi "di liberazione", resta un solo dato sensibile: stavolta più che mai si tratta di una situazione che riguarda e coinvolge tutti, nessuno escluso. E se davvero non sappiamo che fare, cosa e come ricostruire, almeno sappiamo che siamo coinvolti, in prima persona ed in ogni momento della nostra vita. E agire privatamente in nome di quei valori che pubblicamente professiamo è senza dubbio il primo, irrinunciabile passo.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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